di Iannozzi Giuseppe
Solitamente preferisco grattarmi o un po’ di vino, al limite un pacifico gridare: le omelie non mi fanno eccitare. Poi guardo chi c’è in strada, e c’è una folla di caracollanti prigionieri di povertà, così penso che l’azione è meglio: ed allora, giù in piazza a manifestare contro candelotti manganellate e sorrisi. Ma a buon mercato, a far le pulci, a togliercele di dosso. Per una morte un po’ migliore. Per una vita un po’ migliore.
Ma prima era tutto diverso: bilanciavo fra le mani la pistola, e la sentivo bene. La consistenza pesante era la memoria e l’azione della mia mano gelosa. Il prato era verde, una distesa che con fantasia si sarebbe detta infinita, ma mai percepii veramente lo spazio e il tempo di tutto quel mare d’erba.
Ma prima devo tornare indietro nel tempo, anche se di esso non ne ho piena concezione. Mi presentai a lei con un buffo mazzo di rosse rose; e lei s’aprì in un’allegra risata. Compresi subito ch’era scherno quello che l’animava, ma l’anima mia presa era nella pazzia dell’eco che la sua risata spandeva. D’attorno erano case ammucchiate, povere, vuote di tutto e piene di niente, ma si sciorinavano panni appesi, e l’odor del bucato invadeva le nari e stordiva e si mischiava all’acido lisergico che vagava nel sangue. Il cuore batteva isterico: no, non importava che lei ridesse d’un uomo grottesco vestito di stracci e d’un cappellaccio nero. Ma certo è che doveva sembrarle strano assai che uno sconosciuto bussasse alla sua porta. E fu così che sparai a bruciapelo regalandole una fresca rosa di sangue.
Ah, la riconosco ancor oggi in mezzo alla folla che manifesta! Corre insieme a me, per una morte un po’ migliore, per una vita con un po’ di colore. Tiene la rossa bandiera alta, e grida “Rivoluzione!” E non sa cosa sia la violenza gratuita. Grida e grida ancora, ma senza mai sparare a bruciapelo come ho fatto io con lei.