Killer Joe
Creato il 16 ottobre 2012 da Veripaccheri
Killer Joe
di William Friedkin
Negli anni
70, all’epoca di quella fucina di talenti e di grandi film che fu la New
Hollywood ci fu un cineasta che più di altri si conquistò la nomea di regista
“scandaloso”. A fargli guadagnare l’appellativo contribuirono tre film: il
primo fu “Il braccio
violento della legge” (1971), onesto e lucido nel fotografare con verità neorealista
pregi e difetti dei difensori della legalità, non facendo sconti a nessuno quando
si trattòdi mostrare uno dei
protagonisti coinvolto in un rapporto sessuale con una minorenne. Seguirono poi “L’esorcista” (1973), capace di far vedere in maniera "scientifica"
quello che succede ad un corpo posseduto dal demonio, e “Crusing”(1980)
in cui Al Pacino fu utilizzato come sonda di un mondo omosessuale che veniva
svelato e messo in discussione, generando il malcontento della parte in causa.
Opere vietate, censurate contestate, messe al bando, sforbiciate dagli stessi
produttori. Decontestualizzata dal proprio tempo questa fama potrebbe sembrare
esagerata ed anche immeritata eppure all’epoca dei fattivedere Friedkin significava aderire e
farsi partecipi di una visione spregiudicata ed immorale dell’esistenza.
Rispetto a quei tempi “Killer Joe”, la sua ultima fatica, non ha la
stessa forza perché nel frattempo siamo stati abituati a convivere con la
visione dell’orrore. Ed è forse per questo che il regista di Chicago ha pensato
di correre ai ripari adottando uno stile che mischia il serio al faceto, dramma
e commedia, con angoscia e iperrealismo chiamati ad alternarsisulla scena di un’esistenza di
quotidiana follia. Al centro della storia una famiglia di rednecks avvilita da
ignoranza e mancanza di denaro. L’altra faccia di un sogno americano richiamato
dall’opzione di un benessere improvviso, regalato alla famiglia Smith
attraverso la possibilità di riscuotere i soldi dell’assicurazione sulla vita
intestata alla madre, separata e convivente.Per forzare gli eventi in quella direzione l’improvvisato
sodalizio decide di ingaggiare un poliziotto che arrotonda il suo stipendio
uccidendo le persone su commissione e dietro lauto pagamento. E’ lui Killer
Joe, un angelo della morte freddo e sistematico fino a quando si invaghisce di
Dotti, sorella un po’ tarda di Chris,il figlio che ha ideato ilpiano allo scopo di recuperare in tempo utile i soldi di un debito che
potrebbe costarglila vita. Da
quel momento tutto si complica e si distorce spingendo la storia verso una
conclusione tanto drammatica quanto grottesca.
Friedkin ha un solo scopo: distruggere i pilastri della società
americana. Per farlo azzera qualsiasi differenza all’interno del nucleo
familiare attorno a cui ruota il film. E lo fa in maniera diretta e senza alcun
rispetto per la forma, a cominciare dalla prima scena con il full frontal della
matrigna di Chris (una Gina Gershon invecchiata di colpo) sbattuto in faccia al
ragazzo e allo spettatore. E poi continua senza distinzioni tra genitori
(biologici o acquisiti) e figli, pronti a scannarsi per il più misero
tornaconto. Incesto, matricidio, tradimento, pedofilia, tutto è possibile in
questo inferno a cielo aperto. Senza stato ne famiglia, con la giustizia
ridotta ad utopia l’America di Friedkin si misura nellaquantità di sangue versato. Per non
farsi mancare niente e ricordandosi della lezione del collega Romero che
attraverso i suoi “Zombie” criticava il sistema consumistico americano, anche
Friedkin organizza il suo de profundis capitalistico con una delle sequenze più
agghiaccianti ed allo stesso ridicole, quella in cui il personaggio di Gina
Ghershon, in un crescendo di violenza e parossismo è costretta ad
inginocchiarsi di fronte al killer ed a fargli una fellatio prendendo in bocca
la coscia di pollo fritto, simbolo della tradizione americana ed allo stesso
tempo oggetto da consumo, maneggiato come come fosse un vero fallo. Quel pollo
fritto, usato e poi gettato con disprezzo è il crollo di ogni parvenza di
efficienza e prosperità perchè tutto è destinato ad essere travolto dalla furia
di un’umanità disperata. L’america non esiste più, inghiottita dentro
l’oscurità della dissolvenza che chiude il film con il primo piano della
pistola sul punto di far partire il proiettile che mette fine al gioco
Alle prese con una storia di disfunzioni e di paura Friedkin non esita a
cospargere il suo film con un apoteosi della carne rappresentata
dall’esposizione in bella vista di corpi attoriali in disfacimento per cause
naturali, date un’occhiata al corpo voluttuosamente imperfetto di Juno Temple
ed a quello rifatto e sovrappeso di Gina Gershon per farvene un' idea, oppure
come conseguenza delle sevizie e della violenza subite, come accade a Emili
Hirsh (Chris) malmenato e tumefatto, e cartina di tornasoledi una corruzione che distrugge
l'individuo in senso fisico. In alternativa spaccia con un sorriso ghignante
momenti di romantica sublimazione nella relazione tra Joe e Dotti, in cui lo
slancio sentimentale e rarefatto ha quasi sempre risvolti pragmatici, basti
pensare al primo incontro dove la cena a lume di candela diventa il preliminare
di peepshow terminato con un voluttuoso amplesso. Una scelta rafforzata dalla
presenza costante di elementi naturali come l'acqua (nella prima parte del film
la pioggia fa da sfondo alle azioni dei personaggi),e il fuoco, oppure ancestrali come il sogno e la pulsione
–incestuosa quella di Chris nei
confronti della sorella, amorale quella di Joe nei confrontidella ragazzina – a ricordarci tutti
insieme che "Killer Joe" è un esplosione irrazionale di istinti
primordiali. Se la parte centrale è quella meno efficace, con uno sviluppo
della vicenda ordinario e qualche passaggio affrettato – la sottotrama relativa
all'ultimatum dei creditori nei confronti di Chris viene abbandonata senza
nessuna conseguenza – a rimanere in mente è quello che succede prima e dopo, in
cui Friedkin sembra rendere merito ad un cinema che mette insieme Lynch, nella
prima parte, quella dedicata alla presentazione dei personaggi e della storia,
e Tarantino, nella parte conclusiva, quella della resa dei conti. Presentato in
concorso nell’edizione 2011 del festival veneziano “Killer Joe” segna il
ritorno di un regista che non conosce normalità.
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