Due killer si incontrano al bar, o di come il nuovo film dei Mo Brothers sia una barzelletta
Dunque, Tjahjanto e il suo finto fratello Mo già nel 2009 lo stomaco per mettere in piedi una discreta baracconata gore ce l’avevano, Macabre non era proprio niente di che, prendeva tutti gli scarti che il cinema splatter francese aveva avanzato da anni ma mostrava comunque un minimo di preparazione e un’apprezzabile costruzione che dall’Indonesia non era così facile pretendere. Il botto arriva qualche anno dopo, Tjahjanto vola in America solo soletto per ruttare in faccia a tutti con l’unico motivo per cui guardare il primo The ABC’s of Death(l’incredibile segmento ultragore L is for Libido), e replica l’anno dopo, guarda caso in compagnia di Gareth Evans (com’è che in una recensione di un film che, toh, produce Gareth Evans, sto parlando solo di Gareth Evans?) nel brutale found footage Safe Heaven, ottimo corto nel più che interessante V/H/S 2.
Un duello tra serial killer, uno giapponese che lo fa di professione mentre l’altro, indonesiano, che si ritrova a scoprirlo all’improvviso, che si sfidano a chi uccide di più e meglio, può avere senso solo se, 1) il tasso di violenza raggiunge cose allucinanti e gorebuilding nelle scene di morte (scelta più probabile considerando gli autori), o 2) si poggia su una sceneggiatura di ferro in grado di intagliare psicologie di devastante finezza e dialoghi memorabili tra il filosofico e lo schizofrenico (ehm). Scegliere di stare in mezzo è cosa quasi sempre sbagliata e poco dignitosa, mantenere un equilibrio sarebbe comunque difficile e richiederebbe una sensibilità che autori così giovani evidentemente ancora non padroneggiano, e quello che ne esce è una porcata interminabile costruita su dialoghi infantili e situazioni al limite del ridicolo.
Ma tipo, perché a un certo punto non arriva lui?
Da una parte le caratterizzazioni dei due protagonisti, un amante della squisita violenza il primo e un giornalista represso il secondo, del tutto inadeguate per sorreggere il film sulla lunga durata nella staticità straripante e nella completa mancanza di dignità nell’approfondimento individuale (il primo alle prese con tremendi problemi di cuore tardo-adolescenziali mentre inganna e sbudella una ragazza dietro l’altra, il secondo che cerca di ricucire un matrimonio fallito ammazzando chiunque si opponga a lui). Dall’altra troviamo invece la sconsolante scarsità narrativa, con una selezione di momenti clou che sembra arrivare direttamente dal più becero bignami sul torture porn (adescamento di una prostituta, equivoco con gli sbirri durante un controllo stradale), tanto che anche nei momenti in cui si scava in un orrore più disturbante non si riesce mai ad andare oltre a una superficiale adozione del cliché (l’avvocato pedofilo, il faccia a faccia tra i due killer). E con tanta passività c’è molto, molto poco che i due registi possano trarre esteticamente: il sangue è contenuto, la violenza è fisica ma derivativa, l’atmosfera degradante è sempre plasticosa e finta per sembrare vera, il body count è assurdamente basso e privo di qualsiasi creatività che forse anche nel più inutile sequel di Halloween/Venerdi 13, frugando bene, è possibile trovare.E fa quasi un po’ sorridere, ma in realtà dispiace moltissimo, che Kazuki Kitamura e soprattutto Oka Antara offrano ottime prove, molto controllate e davvero efficaci quando liberano il mostro. Purtroppo si salva solo questo.