Capitalism: A Love Story di Michael Moore
Le storie d’amore non sempre finiscono bene. Spesso l’amore ci accontentiamo di storie d’amore mediocri o, peggio, dannose per semplice pigrizia, perché non ci va di ricominciare tutto dall’inizio. Allora si ignorano i difetti dell’altro, si finiscono per accettare umiliazioni e inganni, si sprofonda nel silenzio e nell’isolamento. Molto spesso, si finisce davanti ad una televisione, masticando in continuazione per gettare dentro tutto il malessere e non farlo fuoriuscire. E così si tira avanti. Sopravvivendo allo squallore quotidiano.
Per Michael Moore succede lo stesso anche con il capitalismo. Un sistema che in America e in gran parte dell’occidente ha sposato il concetto di democrazia, ma è un matrimonio che non sembra perfettamente riuscito. Anzi, i due sistemi sembrano annullarsi a vicenda. In effetti, quando le cure mediche principali, la morte, i diritti umani, vengono calpestati in nome del Dio denaro ci viene da chiedere dov’è sia finita la democrazia e dove sia finito il popolo.
Ma questo matrimonio sembra agli sgoccioli, il processo di cambiamento sarà lungo e avrà notevoli difficoltà nel suo percorso eppure qualcosa comincia a muoversi. E se il cinema americano ci ha abituati all’happy end non per forza questo finale felice prevede che la coppia si possa unire nuovamente. Qualcosa si è infranto e non esistono più rimedi comodi.