Magazine Cinema
La conduttrice di uno “strano circo”, una matronale drag queen, invita qualcuno del pubblico a salire sul palcoscenico per provare una ghigliottina. Si fa avanti Mitsuko, una bambina di dodici anni, che dice di aver sempre saputo di dover morire. Destatasi da questo terribile sogno, Mitsuko sente ansimare i genitori in camera da letto, va a vedere e li scopre mentre hanno un rapporto sessuale. Inizia così una sarabanda di violenze domestiche ed efferatezze sessuali che mostra la dissoluzione dei legami familiari attraverso una rappresentazione ellittica di grande coinvolgimento visivo. La scena iniziale colpisce subito lo spettatore per l’opulenza cromatica e visionaria, che riecheggia il Terayama Shūji di Pastoral: Death in the Country (1974), e per l’atmosfera da carnevale macabro, che Sono ha costruito rifacendosi esplicitamente al teatro del Grand Guignol. Senza ulteriori indugi, il film si sposta poi nella lussuosa ed enorme villa padronale dove vivono i protagonisti, un edificio che nonostante la sua ampiezza è reso, nel corso del film, in modo sempre più claustrofobico: come nella scena in cui Mitsuko, profondamente turbata dalla violenza del padre, percorre un corridoio i cui muri sono tappezzati di sangue. Il sangue è una presenza costante del film, sia nelle sue valenze estetiche, sia in quelle semantiche. Film molto costruito, che nella sua cura del dettaglio non lascia spazio alcuno alla casualità, Strange Circus ha una struttura circolare: inizia nel circo dentro un sogno e finisce nello stesso circo, mescolando volutamente sogno e realtà. Sono spiazza ripetutamente lo spettatore con continui rovesciamenti di prospettiva e passaggi dal sogno, alla finzione romanzesca, alla “realtà”. Un voler confondere le acque accentuato anche dall’uso di una sola attrice per più personaggi (Miyazaki Masumi interpreta, infatti, Sayuri, Taeko e Mitsuko da grande). Un ruolo importante hanno anche le musiche, curate per la prima volta dallo stesso Sono, e dall’alternanza di brani classici e di altri di natura circense, con espliciti riferimenti al lavoro di Nino Rota. A tale proposito il cineasta ha dichiarato: «Poiché questa volta ho fatto io stesso le musiche, ho potuto creare un ambiente più intenso che mai. Enfatizzando colore e suono in modo che perdessero ogni senso di realismo, abbiamo realizzato un’atmosfera davvero misteriosa». Il risultato di questo tourbillon visivo, cromatico e sonoro, è una crudele allegoria per adulti: un film inquietante e disturbante, talvolta affascinate, talaltra più debole (come nel lungo prefinale), ma mai banale. In sintonia con la gran parte dell’opera di Sono, Strange Circus dipinge un mondo senza speranza, dove più che la distinzione tra vittime e carnefici, sembra contare la messa in scena del male – inteso quasi come una condizione consustanziale all’universo umano – e dell’impossibilità di ogni redenzione. [Franco Picollo]
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