di Giancarlo Zaffaroni
Nelle opere liriche raramente i bambini sono protagonisti musicali, a volte sono ruoli muti essenziali alle vicende, oppure cori, massa di diverso colore vocale (Norma, Butterfly, Carmen, Turandot, Otello). Spesso sono interpretati da signore en travesti secondo le indicazioni del compositore, o da bravissimi ragazzini che non devono atteggiarsi per apparire quello che non sono. Il teatro musicale è un delicato equilibrio fra immagini e suoni, fra esigenze musicali e sceniche, l’interpretazione musicale e teatrale richiede scelte molteplici.
Facciamo conoscenza di questa piccola compagnia che mostra una prospettiva particolare riguardo a autori, drammaturgia e musica. Non è un’illustrazione esaustiva, mancano ad esempio i fratellini della favola di Humperdinck. C’è qualche elemento comune: fantasmi, violenza del mondo adulto, perdita dell’ingenuità, assenza dei genitori, residui delle qualità infantili negli adulti.
Yiniold
Claude Debussy trovò un’ispirazione coerente per la sua musica nel dramma simbolista Pelléas e Mélisande di Maurice Maeterlinck, dove il non-detto è elemento poetico strutturale e i personaggi sono archetipi più che dramatis personae. La musica occupa uno spazio autonomo e coerente, caratterizza personaggi e vicende mantenendo mistero, molteplicità di visioni e chiavi di lettura. La prima dell’opera fu nel 1902. Il non-detto caratterizza il bambino in modo essenziale perché ancora incapace di esprimere con il linguaggio quello che sente o pensa, perché gli mancano riferimenti e conoscenze essenziali, o per eccesso di sensazioni ed emozioni.
Golaud, padre di Yniold, sposa la misteriosa Mélisande incontrata nella foresta e Pelléas, fratellastro di Golaud, s’innamora di lei ricambiato. I due amanti stanno spesso col bambino, che non è figlio di Mélisande, per evitare di manifestare i propri sentimenti. Yniold appare alla fine del terzo atto in una lunga e disturbante scena dove il padre lo interroga in modo sempre più pressante e violento, esasperato dalla gelosia suo malgrado. Yniold è costretto a spiare Pelléas e Mélisande nella camera di lei, i due fissano la luce senza parlare. Spaventato Yniold minaccia di gridare, si libera dal padre e scappa via.
In un’altra scena Yniold non riesce a prendere la palla dorata che è finita sotto una grande pietra più pesante di me, più pesante di tutto. Sente un gregge in lontananza e pensa che gli agnellini siano impauriti dal buio. Chiama il pastore che, invisibile, dice che il gregge andrà altrove. Deluso e spaventato, anche Yniold corre a dire qualcosa a qualcuno. Debussy ci dice: ho cercato di riprodurre la delusione di un bambino al quale una pecora dà inizialmente l’idea di un giocattolo con il quale, viceversa, non può giocare, e anche quella pietà che la gente, tutta occupata com’è a procurarsi ogni conforto, non prova più.
Feodor
Modest Musorgskij compose il Boris Godunov in due versioni fra il 1869 e il 1871, il libretto è tratto dal dramma storico di Aleksandr Puškin. Feodor è il figlio di Boris ed erede al trono, è un ragazzo vivace e intelligente che studia, canta canzoni popolari e descrive in modo arguto le nutrici spaventate da un pappagallo. Vorrebbe conoscere le faccende segrete e le minacce al regno di suo padre ma viene allontanato con violenza quando gli argomenti si fanno scabrosi.
Feodor ascolta il padre che racconta le difficoltà del governo, gli intrighi, la povertà del popolo. Boris è angosciato dal potere conquistato in seguito alla morte del piccolo figlio di Ivan il Terribile “perfino il sonno mi manca… e nella semioscurità della notte si leva il fanciullo coperto di sangue. Gli occhi gli ardono, ha le mani strette, implora pietà… ma pietà non c’è stata! Una spaventosa ferita si apre, si ode il suo urlo prima di morire…”
Feodor ricompare nella straordinaria e terribile scena della morte di Boris accompagnato da una musica gentile. Padre e figlio si abbracciano consapevoli della fine, Feodor terrorizzato ascolta nuovi consigli: Boris gli raccomanda la cura della sorella, di governare con saggezza essendo libero dalla colpa. Comincia il suono delle campane a morto, un coro fuori scena intona un canto funebre sempre più vicino che dice: Vedo un fanciullo morente e singhiozzo, piango: si agita, trema e chiama aiuto. Ma non c’è salvezza per lui. Dimitrij o Feodor? Nella Storia Feodor sarà incoronato a sedici anni e morirà ucciso pochi mesi dopo.
C’è ancora un bambino nell’opera, conservato in un adulto innocente (jurodivij), un mendicante che vede e dice la verità, unica persona che può accusare Boris d’infanticidio, voce individuale del popolo sofferente sempre inascoltata. L’opera si conclude con l’Innocente che canta la cruda, eterna sofferenza del popolo nella povertà. La musica sorregge piano la voce di tenore, un gesto di quattro note ripetuto da archi e fiati, sempre più profondo, consola brevemente e svanisce nel silenzio del tempo che scorre.
L’Enfant
Dopo tanta tragedia, veniamo a un bambino capriccioso e curioso, immerso nel mondo sinestetico dell’infanzia dove forme, colori, oggetti, animali, natura, suoni sono compenetrati fra loro, connessi, cangianti e incantati. L’Enfant et les sortilèges è un’opera di Maurice Ravel su libretto di Colette composta fra il 1919 e il 1925, dove l’autore assume lo sguardo microscopico che il bambino presta alle cose, e queste piccole nicchie, con oggetti e animali che prendono voce e movenze umane, consentono a Ravel le più libere soluzioni e gustose stramberie (Orselli), dandovoce a paure e sogni del fanciullo che è dentro di lui (e di noi).
Il bambino senza nome ha sette anni, la mamma lo rimprovera perché non studia. Rimasto solo, libero e cattivo, entra in un mondo incantato. La miriade di apparizioni include: un duetto fra sedia e poltrona, uno fra tazza e teiera e un terzo fra gatti miagolanti, il pendolo si lamenta perché non può smettere di suonare, il fuoco balza fuori dal camino, i pastorelli della tappezzeria cantano un addio lamentoso, l’Aritmetica e le Cifre in marcia meccanica e terrorizzante. Il duetto dell’Enfant con la Principessa uscita dal libro strappato è l’unica scena d’amore composta da Ravel, rivelazione di un cuore timido ma appassionato (Jankélévitch). La varietà degli stili della musica perfetta di Ravel ha una concentrazione incredibile in un tempo così breve.
Nel giardino pieno di suoni misteriosi il bambino incontra alberi, libellule e pipistrelli, raganelle, uno scoiattolo e i gatti che si lamentano delle sue violenze ingenue mettendolo davanti alle sue responsabilità. Prima di cadere sfinito, l’Enfant ha un gesto di cura per uno scoiattolo ferito. Profondo silenzio e stupore. Poco a poco gli esseri naturali si esortano a perdonare il bambino, vogliono accompagnarlo al suo nido. La compassione insegnata da Natura al bambino ci conduce sulla soglia del pianto, con uno scoppio di umana cordialità e un’emozione debordante (Mantelli), su un canto quasi religioso alla maniera del Requiem di Fauré.
Miles e Flora
Nel Giro di vite Henry James non svela cosa i fantasmi abbiano fatto a Miles e Flora così il lettore, come la nuova istitutrice, è posto di fronte ai propri fantasmi, paure e immaginazioni del male. Benjamin Britten e la librettista Myfanwy Piper non sciolgono il mistero ma esplicitano il contatto fra bambini e spettri. La prima dell’opera fu a Venezia nel 1954, per i ruoli sono richieste voci bianche.
Miles viene cacciato da scuola e studia con l’istitutrice. In una lezione di latino snocciola nomi maschili in –is che sono (inconsapevoli?) allusioni sessuali. L’istitutrice (inconsapevole?) si complimenta col bambino e ignora Flora che vorrebbe parlare di Storia. Subito dopo Miles canta la Malo song: Malo I would rather be… / Malo in an apple tree… / Malo than a naughty boy… / Malo in adversity. Malo/malus/malum indicano il male, il verbo desiderare, il melo e la mela, gli aggettivi cattivo, indecente. L’incredibile concentrazione di significati e la struggente, agghiacciante, semplice melodia mostrano il bambino consapevole del male del mondo e di quello interiore, senza alcuna spiegazione o soluzione.
I fantasmi parlano dei loro desideri all’inizio del secondo atto: Quint cerca un amico obbediente e sottomesso, Miss Jessel un’anima che condivida il suo dolore. Citando Yeats affermano che La cerimonia dell’innocenza è morta. Subito dopo la nuova istitutrice canta: “Persa nel mio labirinto, non vedo alcuna verità. Oh, innocenza, mi hai corrotto. Piacerebbe chiedere ai personaggi e ai loro molti autori che significato abbia per loro l’innocenza”.
Flora e Miles hanno rapporti diversi con la nuova istitutrice. Flora nega con gli adulti di vedere Miss Jessel, dice di odiare la nuova istitutrice e chiede di essere portata via come accadrà. Miles sembra volersi servire di lei per conoscere i fantasmi. Rimasti soli, come Miles dice ambiguo all’inizio dell’ultima scena, il colloquio con l’istitutrice s’incupisce via via come la musica. Quint si annuncia chiamando Miles col solito vocalizzo, ricorda al bambino il loro mondo, i loro segreti. L’istitutrice, senza sentire Quint, incalza Miles per fargli dire cosa lo tormenta così tutto avrà fine, psicologismo da quattro soldi. Miles grida il nome del suo fantasma e cade morto nelle sue braccia, niente viene svelato.
Sono possibili diverse letture: è l’eccesso di protezione dell’istitutrice a stroncare la gentile natura del ragazzo? I fantasmi sono più legati al futuro più che al passato, al mondo adulto corrotto e violento nel quale i bambini non vogliono entrare a costo della vita? Si deve annientare il bambino dentro di noi perché la vita possa procedere, è necessario limitare la profondità di percezione di persone e Natura, di sensazioni, sentimenti ed emozioni che non permette una vita sociale normale?
Drei Knäbchen
Terminiamo con i fanciulli del Flauto magico (1791), opera eccezionale sotto diversi profili: fondamento della musica tedesca, ispirata a valori di fratellanza universale, prodotta per un teatro popolare da autori emancipati da commissioni di corte e mecenati, è un impressionante compendio di stili e forme musicali rifusi in uno stile classico, come avviene sempre in Mozart.
I Tre fanciulli sono un personaggio unico, sono il collegamento luce e tenebre, fra maschile e femminile, fra Sarastro e la Regina della notte. La giovane età allude a persone iniziate da poco ai misteri massonici, ma la musica di Mozart si riferisce inequivocabilmente alla delicatezza dell’infanzia e fonda veramente un clima per la futura opera nazionale tedesca, il clima del soprannaturale, così estraneo […] al realismo dell’opera italiana, il clima di sogno e di leggenda in cui un giorno Lohengrin potrà intonare il suo racconto meraviglioso (Mila).
I fanciulli accompagnano il principe Tamino e l’uomo-uccello Papageno nel regno di Sarastro alla ricerca della principessa Pamina, figlia della Regina della notte. Nel finale dell’opera salvano dal suicidio sia Pamina che Papageno.
Una delle prove di Tamino è mantenere il silenzio con Pamina che si sente rifiutata. Inoltre la Regina nella famosa aria della vendetta le chiede di uccidere Sarastro. Disperata, quasi folle, Pamina pensa di uccidersi col pugnale della madre. I fanciulli la osservano preoccupati, la affrontano con frasi spezzate, il loro canto si piega all’angoscia. Pamina sta per colpirsi e i fanciulli le fermano il braccio, la invitano con tutta la loro dolcezza a cambiare visione, le dicono che Tamino la ama. Alla fine di un dialogo abbastanza esteso, retto da una frase discendente di cinque note che sembra una carezza, Pamina si consola e segue i fanciulli alla ricerca di Tamino.
Papageno non trova la sua Papagena, data la buonanotte al mondo falso vuole impiccarsi. Irrompono i fanciulli ricordando che si vive una volta sola (a ciascuno i propri argomenti), lo invitano ad usare i campanelli magici. Papageno suona e Papagena esce dalla macchina volante dei fanciulli. L’inizio del duetto dei Papageni è un balbettamento ornitologico, gioia e imbarazzo del riconoscimento, cautela dell’appropriarsi dell’altro con un nome. Papageno è un bambinone incapace di esprimere a parole la gioia dell’amore ma se […] riesce talmente a intenerirci è perché tocca ciò che ogni spettatore ha conservato in sé della propria infanzia (Hocquard).
Il senso della musica di Mozart è più profondo e oltrepassa il fatto amoroso: è l’incontro dell’uomo con l’uomo, della creatura umana con la creatura umana, la possibilità di comunione, tanto acerbamente compromessa dalle complicazioni del vivere civile, il gesto fraterno di prendersi per mano e camminare insieme sulla strada della vita (Mila). Fra la saggezza composta, fredda e noiosa degli iniziati adulti e la buffa gioia allegra e semplice dei Papageni è chiara la scelta di Mozart, e la mia.
Giancarlo Zaffaroni
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Cover Amedit n° 19 – Giugno 2014, “Barbatrucco” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 19 – Giugno 2014
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