In quel di Londra, via Savile Row, la sartoria Kingsman si è sempre distinta per il prestigio e l’eleganza dei propri abiti confezionati su misura, una rinomata attività che in realtà costituisce un paravento ad un’altrettanto secolare organizzazione spionistica, Kingsman Secret Service appunto, i cui agenti, ovviamente impegnati nel salvaguardare la pace e l’ordine mondiale, tutti di estrazione elitaria, istruiti nei migliori college e nelle più prestigiose università del Regno Unito, operano al di fuori di qualsiasi struttura governativa.
L’aura di moderni Cavalieri della Tavola Rotonda è rappresentata dai loro nomi in codice, a partire dal capo Artù (Michael Caine) e fino ad ogni singolo componente, come l’ineffabile Harry Hart/Galahad (Colin Firth), che si porta sulla coscienza la morte di un collega avvenuta diciassette anni addietro in Medio Oriente, nel corso di un addestramento.
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Colin Firth e Taron Egerton
Aveva comunque cercato di portare sostegno ai familiari, lasciando al piccolo Eggsy una medaglia con inciso un numero telefonico, da comporre per ogni necessità, come quella che si palesa ora, ai giorni nostri: Galahad si troverà di fronte un ragazzo (Taron Egerton) cresciuto nei sobborghi londinesi, disoccupato e dedito a piccole bravate, ma un po’ per il senso di colpa che ancora avverte per la morte del collega, un po’ perché a suo modo di vedere le cose “i modi definiscono l’uomo”, ritiene di poterlo inserire nel programma di reclutamento da cui dovrà venir fuori il sostituto (o la sostituta) dell’agente Lancillotto, morto nel corso di una missione volta a scardinare il piano “umanitario” messo in atto da un eccentrico miliardario americano, Richmond Valentine (Samuel L. Jackson), per ovviare al sovraffollamento del pianeta, coadiuvato per il lavoro sporco dalla bella e gelida Gazelle (Sofia Boutella), le cui gambe sono armi micidiali, e non è tanto per dire…
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Firth e Samuel L. Jackson
L’intelligenza, di scrittura e visualizzazione, con la macchina da presa di Vaughn al solito suddivisa fra momenti tachicardici (il clou si ha in una sparatoria all’interno di una chiesa, un lungo piano sequenza, evidente citazione tarantiniana) ed altri più statici, quando non distaccati, consiste nel mettere in scena, pur con la bidimensionalità propria di un fumetto, le convenzioni proprie del suddetto genere, consolidate in gran parte nell’immaginario collettivo, e divertirsi non poco nel distorcerle attraverso l’ottica postmoderna di una “giocattolosa” spettacolarità.
Quest’ultima è volta essenzialmente, riporto la mia personale sensazione, a restituire sullo schermo quella palese ma affascinante ingenuità narrativa composta da un particolare mix d’incongruenza e plausibilità, ritmo sostenuto da continui colpi di scena ed elegante fair play di puro stampo anglosassone, brutale cinismo e umorismo sottile che contraddistinguevano gran parte delle produzioni cinematografiche citate, almeno fino a quella stilizzazione propria delle produzioni più recenti, in parte mitigata, restando nell’ambito della saga di 007, dai recenti film con protagonista Daniel Craig.
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Egerton e Michael Caine
All’interno dell’irriverente e strafottente cornice, dove non si concedono sconti a nessuno, potenti o proletari che siano (esemplare nel primo caso la pirotecnica, letteralmente, scena in cui esplode tutta una serie di teste coronate), più che l’elegante scenografia (Paul Kirby), contornata dai toni saturi della fotografia di George Richmond, i bei costumi molto British volti ad assecondare diversi stili (Arianne Philips), i tanti gadget (le varie armi letali nascoste in accendini, penne, scarpe, ombrelli…) o le scene d’azione, sono i singoli personaggi a fare la differenza e costituire il fulcro essenziale della pellicola, dal signorile Harry/Firth, attore dall’innata eleganza a suo agio anche nei combattimenti o le sparatorie più impensabili, al suo allievo Eggsy, un acerbo Egerton ma funzionalmente integrato nel ruolo, la cui evoluzione comportamentale (“ciò che rende gentiluomini”, secondo gli insegnamenti di Galahad) conferisce alla narrazione l’andamento proprio di un racconto di formazione, senza dimenticare l’impagabile Merlino (Mark Strong), l’understatement sornione di Caine e soprattutto il cattivone di turno, ben reso da un Samuel L. Jackson tendente alla macchietta (e il cui difetto di pronuncia credo perda molto nel doppiaggio italiano).
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Firth
Valentine appare tipicamente bondiano nel suo disarmante contrasto tra cattiveria ed ambigua “bontà morale” con la quale irretire i potenti della terra e il cui piano, l’utilizzo di sim cards atte a stimolare l’aggressività degli utenti, contiene non pochi riferimenti al reale.
Perfetta nel ruolo anche Boutella, la sua tirapiedi, dark lady letale e conturbante, mentre ritengo sia degno di nota il ruolo di Sophie Cookson nei panni di Roxy, ben lontano dagli stereotipi della Bond Girl. Una pellicola in cui cultura pop e sublimata arte del cazzeggio, pardon, si fondono insieme allo scopo del più puro intrattenimento e nulla più, se non palesare divertimento e trasmetterlo agli spettatori, ma il cinema, sin dai suoi esordi, è anche questo, esternare la propria capacità d’irretire facendoci riscoprire l’ingenuità del gioco e dello scherzo.
Tutto qui, senza far troppo i sofistici quanto basta per una serata scacciapensieri.
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