La diversità diventa l'unico fatto irriducibile della vita. Solo le differenze sono vere e per vederle dovete semplicemente aprire gli occhi.
Durante le sue lezioni universitarie di biologia, lo studioso incontra la bela Clara (Laura Linney), che diventerà sua moglie (e, detto per inciso, la sua prima amante). Presto, però, i suoi interessi di ricerca si orientano su una ben diversa materia: in barba alle restrizioni moralistiche della sua epoca e della sua cultura familiare (il padre era un severissimo pastore metodista), Alfred Kinsey comincia a osservare con sguardo disincantato e sincero i comportamenti sessuali delle persone, ambito nel quale lo scienziato ravvisa la maggiore variabilità. Tiene allora un corso di educazione sessuale, molto affollato - a differenza di altri dove domina una cieca censura - e a quel punto conosce Paul Gebhard (Timothy Hutton), Wardell Pomeroy (Chris O'Donnell) e soprattutto lo spregiudicato Clyde Martin (Peter Sarsgaard). Questi viene eletto a suo aiutante principale nella ricerca sull'effettivo comportamento sessuale delle persone e, in breve, i due si uniscono in una relazione carnale che eccita lo scienziato e gli restituisce la sua componente omoerotica.
Bill Condon, sceneggiatore e regista, nel suo film patinato e ben fatto, capace di sussurrare oltre che di affermare dogmi, sta attentissimo a evitare qualsiasi rapporto di causa-effetto tra il legame fisico dei due uomini e l'interesse specifico (ma non esclusivo) di Kinsey nei confronti dell'omosessualità. Le mie conoscenze sulla figura storica mi impediscono di valutare il grado di fedeltà biografica. Riconosco però che lo scienziato appare in un'aura di rispetto e amore, ma non di cieco sostegno; semmai su un aspetto ambiguo del suo carattere si insiste (ma con non meno amore), ovvero sulla tensione faustiana alla conoscenza che lo spinge perfino a una spaventosa automutilazione pur di cercare di comprendere il piacere che altri provano in simili circostanze. In Kinsey non si riscontra nessuna spinta etica preventiva, lo scienziato viene issato quasi per equivoco a vessillo dei movimenti di liberazione sessuale, ai quali non risulta qui che abbia partecipato. La sua ricerca è, a conti fatti, amorale, guarda in faccia solo la fenomenologia del desiderio e del piacere, relegando poi la corrente educazione al sesso a una sovrastruttura sostanzialmente incapace di incidere nella realtà del comportamento umano.
Oggi, forse, possiamo restituire un po' di valore a queste sovrastrutture, quando consapevoli, e distinguere una buona volta tra ciò che un uomo è e ciò che un uomo fa e può fare (molto di più e di meglio). Ma, negli anni '50, ciò che importava più a Kinsey era distinguere tra una padronanza del corpo e dell'anima e una superstizione con cui il popolino veniva tenuto a bada nella più completa ignoranza di sé e delle sue possibilità (in bene e in male). A conti fatti, il protagonista della nostra storia, che ha molto sofferto del silenzio con cui sono state accolte le sue precedenti indagini scientifiche, condivide molti aspetti con un'età in cui la liberazione sessuale è ancora in fieri. In particolare, Kinsey ha molto chiaro il concetto di disciplina, solo che - come gli fanno notare - si tratta di una disciplina del sesso senza sentimento, in un frangente in cui le due dimensioni dell'essere umano sembrano divaricarsi oltre ogni attesa. O per dirlo con le sue parole:
è impossibile misurare l'amore e senza misurazione non ci può essere scienza.
L'antico studioso delle vespe, con il cospicuo finanziamento elargito dalla fondazione Rockefeller, continua a comportarsi da entomologo, preoccupato com'è di riconoscere, raccogliere, enumerare, catalogare (e riconoscere di nuovo) le manifestazioni del reale. Mi domando, senza nessuna polemica, quanto bruci un simile inseguimento ad infinitum di un orizzonte che si sa inafferrabile. Del resto, Kinsey sembra proiettarsi ora verso questo orizzonte, ora verso la saldezza delle origini e della natura, nella capacità di impadronirsi e di nutrirsi di ciò che è la nostra costituzione fisica e culturale, come un albero sempre verde, sempre vivo, o (aggiungiamo noi) vivo fino in fondo. Su questo fondo, però, Kinsey e i suoi contemporanei non si sono mai messi d'accordo del tutto e anche oggi ci sarebbe tanto da discutere, bandendo facilonerie d'ogni sorta. Basterebbe mettersi a discutere con le persone, e non tra ciechi schieramenti contrapposti.