Sono affezionato a Kiss of the Dragon per diverse ragioni: a) ci sono stato, a Parigi, in molti dei set naturali qui ripresi; il tempo atmosferico fa davvero così schifo. Quasi ogni giorno; b) è un film del 2001, ma sembra appartenere, per l’incoscienza dei dialoghi e delle azioni e per il modo in cui si ammazza, a due decenni precedenti; c) ci sono Jet Li e Bridget Fonda, soprattutto Bridget Fonda, che amo per altre pellicole e per i suoi piccoli ruoli; d) la CGI è poca, appare infatti in una sola scena e i cavi, una volta tanto, sono al servizio del realismo, andando a limitare la velocità degli attori; e) applica la lezione degli action studiata sui manuali, senza per questo essere lezioso; f) pur avendo un intreccio insopportabilmente romantico, questo surplus caramellato non si sente affatto; g) adoro il simbolo della stella rossa sul calcio della pistola di Jet Li.
E attenzione, riguardo quest’ultimo punto, non è perché sia chissà quale nostalgico, il fatto è che certi simboli, al cinema, come la stella rossa o la falce e il martello, fanno ancora bene, in barba al politicamente corretto. Ed è vero, qui la prospettiva è ribaltata, il super-agente cinese è il buono, i francesi e la loro insopportabile grandeur i cattivi. Ma che ci importa? Se le suonano a dovere, anche di più di quanto ci si possa aspettare. Da un action si dovrebbe volere solo questo. E poi, lo sanno tutto che siamo dei nerd, quindi tanto vale assecondare con questo post i deliri dati in pasto alla stampa che conta. Per quanto ce ne frega.
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Film action, dicevo. Li è il superagente segreto in trasferta a Parigi che viene incastrato in un gioco sporco fatto dalla Polizia Parigina, capeggiata dall’onnipotente ispettore Richard (l’ottimo Tchéky Karyo). Trama da videogame, con damsel in distress, però spinta da motivazioni nobili (salvare la figlia), come abbiamo detto, Bridget Fonda. Poco da dire sulla storia, quindi, a parte che, non schiacciando sul tasto del patetico, pur essendo aderente al più classico intreccio buonista, non cade nel ridicolo o nell’oltraggioso, evitando di far annegare il personaggio di Jessica (Fonda) nell’odioso. Anzi, gli schiaffi che prende, la capacità di addormentarsi, distrutta, su un cesso nel retrobottega di un ristorante cinese, piccola bottega degli orrori, che ti pare di vederci spuntare un mogwai, tra un barattolo e l’altro, e le trovate astute che ella impiega per sfuggire ai suoi aguzzini, te la rendono persino simpatica.
Comunque, film al servizio delle capacità cinetiche di Jet Li, ma non solo. Raramente mi trovo d’accordo, lo sapete, con chi propugna l’utilizzo di manuali atti a spiegare il metodo con cui fare le cose. Questo film pare proprio uno di quelli, e lo si evince, soprattutto, da una delle primissime sequenze, ovvero l’arrivo di Li nell’albergo teatro della missione che deve svolgere.
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Elementi classici dello spionaggio tutti presenti, arrivo del bersaglio (Li, in questo caso), portiere d’albergo complice dei servizi segreti, hall gremita di osservatori, persino il tipo innocuo seduto in poltrona a leggere il giornale. Abboccamento, infine, dal bancone del bar alla toilette.
Cinesi e loro storia millenaria, contro francesi e loro (nostra) storia millenaria. Due culture che si scrutano e si prendono simpaticamente per il culo, lungo i novanta minuti di film. I francesi ingioiellati, che si credono tostissimi, ingioiellati e grezzi fin dai tempi di Besson, che ‘sto cinema action sfumato all’europea se non l’ha inventato lui, be’, di sicuro l’ha venduto e Li, che oggi è invecchiato e non si muove più come dieci anni fa, ma che qui, nel 2001, sapeva il fatto suo.
Evitando di soffermarsi sulla palese idiozia della sequenza nei condotti della lavanderia, bastava, infatti, all’ispettore Richard sporgere la manina armata di mitragliatore all’interno del condotto, puntarla versol’alto e sforacchiare Li come una groviera, anziché fare tutto quel casino finito con una bomba a mano e pessime fiamme in computer grafica, il resto è azione vera.
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Il fatto che Li utilizzi un set completo di aghi per pungere i suoi nemici ottenendo risultati alla Nanto e Hokuto, specie nel finale, non guasta, anzi sa di tocco caciaro in più, tipico ancora una volta dei decenni precedenti. Si dice, persino, che la tecnica del Bacio del Drago esista sul serio, mah… Comunque, i combattimenti: riuscitissimi due in particolare, affidati a professionisti. Il primo tra Li e il nero, capace di sfondare pali di legno coi pugni e di riuscire credibile nel tentativo, e il secondo, spassoso com un final level, sempre tra Li e i gemelli, rispettivamente Cyril Raffaelli (Twin 1, quello basso) e Didier Azoulay (Twin 2, quello enorme). La sequenza tra Li e Raffaelli è stata rallentata perché gli scambi tra i due fossero apprezzabili all’occhio umano (lol) e, Raffaelli in particolare, davvero capace di effettuare la capriola rovesciata che termina in un calcio in avanti, in gergo one-and-a-quarter backwards somersault-kick, è stato costretto ad utilizzare cavi di sostegno perché i movimenti risultassero fluidi e visibili. Scelta giusta o sbagliata, a questo punto non so dirvi. Dopotutto, il vero action è sempre stato costruito su attori che facevano sfogio di fisicità, ma che erano incapaci di combattere, salvo poi diventare leggende viventi proprio per quest’aspetto. Magari tra una ventina d’anni, questo Kiss of the Dragon ce lo ricorderemo con malinconia, perché questo cinema non si farà più.
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