Magazine Cultura
PUBBLICATO DA: Feltrinelli, 133 pag. € 6,50
VOTO: 6
GIUDIZIO: Premetto che questo libro è il primo che leggo della stra famosa Banana Yoshimoto. Per anni ho letto decine e decine di shojo manga ma qualche tempo fa mi sono resa conto con orrore di non aver mai preso in mano e letto un libro prodotto nel sol levante ( in realtà di non aver mai letto un libro orientale) cosi ho pensato di cominciare la conoscenza da lei, da Banana. Ho preso in prestito il libro da una mia amica che è una sua grande estimatrice e ho cominciato a leggerlo. All'inizio ho pensato fosse un opera abbastanza leggera (solo 133 pagine?) poi mi sono resa conto che è fondamentalmente divisa in due parti, la prima e la più consistente dedicata a Mikage, da cui trae il nome l'opera, e la seconda e più breve dedicata alla storia di Satsuki.
Partiamo per ordine, Mikage è una ragazza molto giovane, una per così dire porta sfiga. Tutte le persone della sua vita sono morte o moriranno. Li per li ho pensato "Dio, vatti a far benedire amica" ma poi comunque si viene attirati dalla forza e dalla fragilità di questa ragazza. Il neo è che innanzitutto non sono riuscita a capire il perché l'autrice abbia scelto il titolo Kitchen. Si ok a Mikage piaceva molto cucinare ma sembra quasi un titolo forzato perchè nella storia ci si concentra su altro, su solitudine, sul ricominciare, sulla rialzarsi in piedi e anche sull'unione della cucina si vede ben poco.
Orbene, la storia è sicuramente ben scritta, tuttavia è breve e non permette di indagare a fondo sulla vicenda e sui personaggi; di Yuichi non si capisce fondamentalmente un tubo, chi sia, cosa vuole, del perché agisce come agisce. Di Eriko, il personaggio più interessante di tutto il racconto, men che meno (trall'altro non credo che una persona decida di diventare donna solo perché non puoi piangere in un taxy se sei un uomo).
Un altra cosa che mi è dispiaciuta, e in questo includo anche il secondo racconto, è che non ho percepito per nulla l'atmosfera giapponese. Mi sarei potuta anche trovare in Canada e non avrebbe fatto differenza. Mi aspettavo che questa storia trasudasse Giapponesismi da tutti i pori.
Passiamo al secondo racconto. In comune con il primo ha sicuramente il senso di perdita, ma questo è ancora più breve (una ventina di pagine?) e meno profondo del primo. Si certo si capisce dove la scrittrice vuole arrivare, ossia alla speranza, ma a mio gusto non ha speso abbastanza parole per descrivere un quadro così tragico, difficile e duro. Se si subiscono perdite di quell'entità si segue un percorso di recovery, invece , sopratutto nel primo, sembra tutto quasi easy.
Detto questo non mi farò scoraggiare e proseguirò la conoscenza di questa autrice con N.P.
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