2003: Salmer fra kiøkkenet di Bent Hamer
Inondato di premi e candidato all’Oscar questo film che definire «insolito» è poco e che Il Sole 24 Ore ha definito “Racconto filosofico, piccolo apologo nordico con la grazia di una favola della nonna”.
Un inno all’amicizia e alla comunicazione questo di Bent Hamer, nativo della Norvegia e operante in Svezia, luoghi dove le due cose devono essere tutt’altro che facili: “la gioia creativa, le emozioni, la rottura della disciplina, l’individualità contro la rigidità inscalfibile dello stato sociale scandinavo” (Il Manifesto). In un ambiente perennemente innevato (tranne che nel finale, e c’è un motivo…) dove l’isolamento e la solitudine sembrano regnare sovrani, una storia che sa di assurdo e paradossale ma che nasconde molte verità sulla società occidentale e sul nostro essere. Accade poco nel film, solo tante piccole notazioni che però esprimono al meglio frustrazioni desideri bisogni… che sono nostri, a qualsiasi latitudine apparteniamo. Un film sottile che invita alla riflessione e quasi non ce ne accorgiamo (“dietro lo strato divertente e affettuoso fa capolino uno sguardo critico piuttosto acuminato”, scrive giustamente Repubblica). Ironico e surreale, fine e garbato, arguto e originale, poche parole e poco movimento di cui non si sente la necessità. Un film leggero e profondo al contempo, da gustare con calma e intelligenza.
Mai pedante o retorico, Kitchen Stories, pur toccando temi non facili e spiacevoli, dà serenità e infonde speranza: è chiaro che il regista è un ottimista, “un meraviglioso e «utilissimo» ottimista. Senza alzare la voce, facendo un cinema minimo e piacevole, ci racconta d’una possibile libertà interiore, d’una possibile «confutazione morale» di guardiani e capiguardiani, e di dèi minuscoli che se la spassano sullo sfondo, sopra le nostre teste” (Roberto Escobar).
“Senso dell’umorismo, psicologia, eccellente sceneggiatura e recitazione”, il giudizio finale de La Stampa: da condividere in pieno.