Ho sempre creduto che uno dei doveri deontologici del pubblicitario sia promuovere ciò che di buono esiste sul mercato, anche se nessuno te lo chiede. Così come screditare prodotti o servizi pessimi, che proliferano sul mercato più per fama che per una qualità oggettiva, costituisca un servizio pubblico di altrettanta importanza. Per mia natura, però, spesso preferisco elogiare chi merita un riconoscimento anziché soffermarmi a denigrare chi non vale il tempo di un battito di ciglia.
Domenica scorsa ho scoperto un ristorantino che a mio parere ha tutti i sacri crismi per farti passare un paio di ore a tu per tu con il buongusto. Normalmente non amo la povertà di una cucina che fa della polenta l’elemento cardine da associare al condimento di turno, perché è come se da noi, per fare scena, si associasse il cous-cous ad ogni secondo. Ma questa volta mi sono ricreduto e ho fatto un passo indietro, chinandomi di fronte alla gastronomia della cuoca del KM ZERO di Burro che con la sua passione per i fornelli mi ha regalato il semplice piacere di un pranzo casereccio immerso nelle valli orobiche.
Così, una volta accomodati, partiamo subito con un bel tagliere di salumi. Il sapore è talmente leggiadro che il grasso mi si scioglie in gola lubrificando l'esofago per il prossimo passaggio. Il retrogusto di erbe campestri mi esalta a tal punto che con la mente inizio a correre scalzo sui prati con Annette e con Lucien. La bontà degli affettati è tale che preferisco divorarli prima che il rimorso di non riuscire a dimagrire un etto fino alla prossima prova costume divori me. Anche il polpettone di verdure è piuttosto buono e le carote e le zucchine a cui è accostato preannunciano che ci prenderemmo ancora delle belle soddisfazioni con le pietanze che verranno. Spazzoliamo tutto per benino e potremmo già fermarci qui perché siamo già soddisfatti (non sazi, che è un’altra cosa) per quanto abbiamo appena guastato.
Ma ora tocca ai primi. Ci aspettiamo delle porzioni contenute data la crisi dilagante, ma arrivano due bei piattoni di pasta rigorosamente fatta a mano. Da un lato ci sono le foiade di grano saraceno con asparagi e salsa al taleggio. Off limits per me che mi corrugo solo a sentire pronunciare la parola formaggio. ATB mi sfida ad assaggiarlo garantendomi che la mantecatura è così leggera da azzerare la gustosa invadenza tipica dei formaggi. Dall’altro lato mi vengono serviti gli gnocchi alla farina di 5 cereali in pesto di ortiche, e probabilmente sono gli gnocchi più buoni che abbia mai assaggiato da quando mia nonna è andata a fare gli struffoli per San Pietro. Questi tasselli di pasta compongono un mosaico perfetto di tesserine verdi, compatte e perfettamente amalgamate. Un piatto impeccabile. Nessuna sbavatura (a parte la mia mentre ci ripenso). Voto? Assolutamente 10.
Per la prima volta io e ATB scegliamo lo stesso secondo. Probabilmente perché con le delusioni che ha collezionato negli anni in giro per le capitali europee ha finalmente imparato a fidarsi del mio intuito che spesso, modestie a parte, sa dove pescare. Veniamo incuriositi dagli Uccellini scappati nella speranza di assaggiare finalmente 'sti benedetti volatili che la cucina locale vanta con il nome di Osei. Ma non lasciatevi ingannare dal nome: trattasi di involtini di carne ripieni che non andrebbero da nessuna parte. Anche perché da un lato troverebbero un muro di croccanti patate novelle a forno e dall’altro un piccolo vulcano di ottima polenta che, con un tocco di classe dello chef, cela un sughetto per la “puccia” nel suo piccolo cratere.
Ormai siamo all’orlo e dico ad ATB un frase che da tempo faticavo a pronunziare: sono sazio! Ma lei insiste perché essenzialmente le piace fregiarsi della mia voracità e mi incalza dicendomi che non possiamo tirarci indietro proprio ora che siamo al traguardo. Perciò mi costringe a suggellare il pranzo con un dolce diverso dal suo così da poterne assaggiare due. Lei prende un buonissimo muffin alle fragole, che con il suo profumo pervade tutto il tavolino. Io invece mi aggiudico ancora il premio “Ambarabaciccicoccò”. La creme brulèe al caffe è probabilmente il dessert più estasiante che abbia mai mangiato.
Ci viene chiesto in fine se vogliamo anche il caffè, ma adesso ho superato ogni limite e forse è meglio che facciamo due passi nel parchetto verde che delimita il ristorante. Purtroppo la giornata non rende giustizia alla primavera, ma il panorama boschivo su cui volteggia un falchetto è davvero mozzafiato, sembra sia stato dipinto per rasserenare chi lo guarda. Il cielo è velato da nubi incerte, ma il sorriso delle cuoca di fronte ai nostri complimenti rischiara la giornata dando l’ultima pennellata di calore a questo incanto.