di Umberto Genovese
Se ci soffermiamo al significato delle parole professionista – colui che esercita una professione intellettuale o comunque un’attività per cui occorre un titolo di studio qualificato – e il dilettante – colui che pratica un’attività o si dedica a uno studio non per professione ma per amore della cosa in sé – forse in nessun altro campo di ricerca scientifico la divisione tra ricercatori professionisti e dilettanti è così sottile e impalpabile. In astronomia è abbastanza comune infatti che le due categorie si sovrappongano e collaborino assieme per il progresso scientifico. Ed è infatti quello che è avvenuto anche in questo caso dove è stato chiesta la collaborazione di un gruppo un po’ particolare di astrofili per poter confermare o confutare una teoria sulla morfologia delle nebulose planetarie che ossessiona da tempo gli astrofisici.
L’astronomo dilettante austriaco Matthias Kronberger analizzando una regione del profondo cielo inserita nel Deep Sky Survey ha scoperto una nuova nebulosa planetaria a cui ha dato il nome: Kronberger 61, o Kn 61.
Matthias Kronberg , fisico delle alte energie al CERN di Ginevra, è membro di un team di astrofili: i Deep Sky Hunters.
A questo team è stato chiesto da alcuni ricercatori professionisti un aiuto per analizzare la stessa porzione di cielo che attualmente è investigata dalla sonda Kepler, ed è lì che infatti sono state scoperte sei nebulose planetarie, di cui Kn 61 fa parte.
La missione Kepler della NASA analizza circa 105 gradi quadrati porzione di cielo nei pressi della costellazione del Cigno, tra Deneb (α Cyg) e Vega (α Lyr). L’intera area è paragonabile a l’area quella di una mano tenuta a debita distanza. Il telescopio spaziale Kepler ha il compito di analizzare continuamente la luminosità di 150.000 stelle alla ricerca di quasi impercettibili variazioni di luce. La presenza di un corpo minore compagno di una stella può provocare fluttuazioni di luminosità attraverso le eclissi. L’eventuale curva di luce ottenuta da questi sistemi stellari sarà comunque influenzata da altri fattori, quali l’albedo del corpo minore, il suo riscaldamento e le sue fasi astrali, come comunemente osserviamo nei corpi interni alla nostra orbita come Venere e Mercurio.
Le nebulose planetarie di solito hanno forme particolari, che i ricercatori spiegano con la presenza di uno o più corpi minori che perturbano la fase di rilascio degli strati esterni della stella, mentre Kn 61 appare perfettamente simmetrica, come un perfetto palloncino.
Era proprio questo che speravano di trovare all’interno del campo osservato da Kepler, una nebulosa da poter studiare con strumenti fotometrici precisissimi come quelli della sonda Kepler da potrer confutare o meno la teoria che ritiene i corpi planetari minori quali responsabili delle stravaaganti forme delle nebulose planetarie.
Averne trovata una così perfetta come Kn 61 è un incredibile colpo di fortuna.
Orsola De Marco della Macquarie University di Sydney e del dipartimento di astrofisica dell’American Museum of Natural History che nel 2009 ipotizzò che le bizzarre forme di molte delle nebulose planetarie fossero da attribuirsi alla presenza di compagni stellari minori o addrittura a sistemi planetari, è parte del team che attualmente sta studiando Kn 61 insieme allo scopritore austriaco Matthias Kronberg, George Jacoby del Giant Magellan Telescope e Steve Howell del team Kepler e sviluppatore di sistemi di indagine fotometrica.
Le nebulose planetarie
Una stella simile al Sole, con una massa compresa tra le 0,8 e le 4 masse solari, passa circa il 90% della sua vita (svariati miliardi di anni) nella fascia principale del diagramma Hertzsprung-Russell, fintanto che le sue reazioni nucleari interessano l’elemento principale della stella: l’idrogeno.
Quando l’idrogeno nel nucleo finisce e la fusione si arresta, il peso stesso della stella la fa collassare innalzando le temperature del nucleo fino ad innescare la nucleosintesi del prodotto finale della reazione termonucleare precedente, in questo caso elio. Queste nuove reazioni fanno espandere la stella fino a diventare una Gigante Rossa. Finito di bruciare anche l’elio, il processo si ripete, finendo per innescare – se la massa è sufficiente – la fusione del prodotto di scarto precedente: il carbonio. Questa nucleosintesi è più energetica delle precedenti, e la pressione di radiazione risultante espelle gli strati più esterni della stella nello spazio dove formano un guscio di gas illuminato dal nucleo nudo della stella originale: una caldissima nana bianca.
Pubblicato inizialmente su Il Poliedrico: http://ilpoliedrico.altervista.org/2011/07/kn-61-la-nebulosa-planetaria-giusta-al-posto-giusto.html
Umberto