Eli Roth insiste.
Fallito l'omaggio a Ruggero Deodato con "The Green Inferno", il regista di "Hostel" non si perde d'animo e stavolta si lascia ispirare, senza dichiararsi - forse per non suscitare ancora polemiche - dal "Funny Game" di Michael Haneke, per una nuova storia meno cruda, più orientata verso il thriller, ma comunque folle secondo quella che è la sua mentalità indiscutibile di cineasta.
A fare quindi il knock knock del titolo alla porta del Keanu Reeves sposato con figli, ma lasciato solo dalla sua famiglia durante il week-end, non sono più allora due ragazzi vestiti di bianco, con intenzioni gratuitamente violente, bensì due giovani ragazze affascinanti e disperse, che sotto la pioggia battente della nottata stanno cercando aiuto per contattare una loro amica e magari asciugarsi un pochettino i vestiti corti, da festa. Servizi che l'architetto Reeves, solleticato un minimo dalla situazione, non se la sente proprio di negargli, comportandosi gentilmente e con fare imbarazzato, di fronte agli atteggiamenti e alle battutine piccanti che le due disinibite sconosciute accennano, tentandolo a più riprese forse per gioco, forse sul serio. L'amore per sua moglie e per i suoi figli però lo fanno desistere, passando da una sedia all'altra del suo salotto come se niente fosse e schivando le avances con sangue freddo e buon senso, quello che deve arrendersi, comunque, di fronte a un potere femminile sprigionato al massimo delle sue potenzialità su di un uomo sicuramente forte, ma pur sempre fatto di carne ed ossa.
Tanto diverso da "Funny Games" perciò, questo "Knock Knock" non lo è affatto, e non importa quanto Eli Roth insista per giustificare il contrario (semmai dovesse farlo, ecco). Anche il comportamento delle sue ragazze è mosso da una violenza gratuita, una violenza (diversa) per niente giustificata, né nobilitata dalle motivazioni effimere e prive di fondamento sbattute in faccia ad una vittima che loro stesse hanno fatto in modo che diventasse tale. Non ci sono precedenti che condannino Reeves al ruolo per cui viene punito, ed è probabilmente il buco più grande di una sceneggiatura che se solo avesse avuto minori pretese, facendosi carico di due giustiziere femministe a prescindere, poteva probabilmente raggiungere il suo scopo in forma maggiore e senza sbavature. La mano di tre uomini in scrittura invece si sente (sono Roth, Guillermo Amoedo e Nicolás López), è pesante e va ben oltre le concessioni erotiche ed esplicite di alcune scene o battute, poiché rilega, volontariamente o meno, non è specificato, il ruolo della donna a quello della stronza e della manipolatrice assetata di vendetta con la sua controparte. Un sottotesto che, magari, il pubblico femminile faticherà a mandar giù, ma che, invece, non impedirà a quello maschile di godersi lo spettacolo leggero e d'intrattenimento di una pellicola che, nonostante gli evidenti difetti, resta in piedi alla sua fragile struttura, divertendo a più riprese con l'imprevedibilità dichiarata del suo regista.
Certo, il prendersi abbastanza sul serio, pur andandoci giù pesante con l'ironia, è un errore - ed un peccato - che "Knock Knock" è obbligato a pagare pur potendolo facilmente evitare. Ma se si sceglie di aprire le porte ad un folle come Eli Roth bisogna sempre essere abbastanza morbidi e indulgenti da accettare i suoi modi e trattenere le proteste.
Tenendo a mente che lui, a dispetto di altri, l'educazione di fare toc toc alla nostra porta l'ha conservata.
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