Ci sono registi a cui piace confondersi nelle storie che raccontano ed altri che usano il cinema come uno schermo capace di reinventare ogni volta la loro personalità. Caratteri poliedrici, fantasie in movimento, questi autori non possono fare a meno di comunicare, ma per farlo hanno bisogno di un angolo sicuro, di un recesso dal quale esternare pensieri che altrimenti finirebbero per aumentare un sentimento di diversità in cui sicuramente si sono più volte imbattuti. Nel caso di Steven Soderbergh poi questo camaleontismo emerge alla massima potenza per il fatto di lavorare in un ambiente come quello hollywoodiano per natura votato ad esibire il suo presenzialismo. Così nonostante i molti premi vinti e la confidenza con alcune delle star più acclamate del pianeta l'uomo continua ad essere artista inafferrabile per la capacità di diventare una cosa sola con i film che realizza. Ad aiutarne il diradamento la capacità di mantenersi in continuo movimento, non solo nel settore produttivo ma anche all'interno dei suoi stessi lavori, in cui spesso e volentieri figura nel ruolo di sceneggiatore, direttore della fotografia, sotto pseudonimo di Peter Andrew, e con quello di Mary Ann Bernard, anche montatore. Ed ancora per un interesse onnivoro che non conosce limiti, e che lo porta a cimentarsi su diversi gradi di cultura e conoscenza: da Cannes ad Hollywood, passando dai capisaldi della letteratura mondiale, i fumetti, il pulp, l'erotismo, i film di genere e quelli d'autore. Una carriera postmoderna verrebbe da dire e forse lo è.
Giunto al suo nuovo film Soderbergh stupisce ancora una volta i suoi interlocutori con un fight movie come "Knock out" che mette al centro di una trama di servizi deviati ed agenti segreti il personaggio di Mallory Kane, ronin in gonnella decisa a vendere cara la propria pelle dopo una missione in cui qualcuno ha tentato di incastrarla. Costretta a difendersi da chiunque le passi accanto la nostra eroina, a suo agio solo quando c'è da impugnare una pistola o indossare l'uniforme, non si fa certo pregare sciorinando una predisposizione a menar duro da far invidia agli esempi più barbari della controparte maschile. Ovviamente è invincibile e con una spiccata avversione alle attenzioni dell'altro sesso, immancabilmente ripagate con letale noncuranza. Per crearle il contesto Soderbergh utilizza uno stile fatto di improvvisazione e ricercatezza, perfettamente riassunto nella prima parte del film, quando la liberazione di un ostaggio ci da modo di osservare uno swing calibrato al millimetro, eppure realizzato con un associazioni di immagini e di suono ispirate ad una spontaneità che il film ricerca soprattuto negli atteggiamenti e nelle reazioni di un attrice, una convincente Gina Carano, non ancora abituata ad esserlo. Per movimentare ancora di più le acque chiama a raccolta il cinema exploitation (nella violenza iperrealista e nella caratterizzazione dei personaggi quasi sempre lasciata alla vistosità dei dettagli esteriori) quello anni 70 (anche europeo per un pizzico di esistenzialismo ottenuto attraverso dialoghi volutamente sobri ed ambienti privi di orizzonte) ed una squadra di attori che si oppone nell'appeal da copertina alla rusticità della neofita. Il risultato è un cinema da vedere più che da sentire, un intrattenimento intelligente, a tratti ironico - Fassbender attraverso il suo personaggio deve subire un contrappasso che mette alla berlina la sua immagine da tombeur de femmes - sicuramente competitivo nelle dinamiche action grazie al mestiere che la protagonista, nella vita reale campionessa di arti marziali, porta in dote al film e che si traducono in combattimenti finalmente liberati dagli artifici degli effetti speciali ed affidati alle qualità fisiche di Gina Carano, ripresa con long take che ne mostrano le plastiche capacità. Ed anche la mancanza di emotività che ogni volta fa difetto al regista della Lousiana diventa l'unico modo di rapportarsi in un contesto dove l'unico problema è sopravvivere. Interpretato anche da un redivivo Michael Douglas, e tra gli altri da Ewan Mc Gregor in un ruolo per lui insolito, “Knock out” è la conferma di una libertà che sa convivere con le leggi di mercato.