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Kolkata va veloce: novità e sorprese della capitale culturale dell’India

Creato il 28 luglio 2015 da Milleorienti

Foto di Marco RestelliCari lettori, fra le metropoli dell’India la meno visitata dagli italiani è Kolkata (la vecchia Calcutta). Non si capisce la ragione, perché Kolkata, come tutto il Bengala, è davvero interessante. O meglio: la ragione probabilmente consiste negli stereotipi su Calcutta (vecchi ormai di quarant’anni!) che abbiamo noi italiani. In realtà questa metropoli gemellata con Napoli non è più “quella di Madre Teresa”, è cambiata ma noi non lo sappiamo. Proprio per invitarvi a visitarla e a scoprire la sua vivace vita culturale inserisco qui un mio reportage pubblicato poco tempo fa su Sette, il magazine settimanale del Corriere della Sera. Attendo come sempre (qui o sui social) vostre opinioni o domande. Buona lettura, MR
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E’ stata la più grande città coloniale dell’Asia, capitale dell’India Britannica fino al 1911, e del suo passato imperiale conserva imponenti testimonianze architettoniche. Ma soprattutto Calcutta (Kolkata, nella lingua del Bengala) è stata la capitale culturale dell’India, e per molti aspetti lo è tutt’oggi, grazie alla sua raffinata letteratura, alle sue gallerie d’arte moderna (vedi foto sopra), alla sua produzione cinematografica d’autore (diversa da quella di Bollywood in ogni campo: contenutistico, stilistico, industriale). Del resto, un elenco degli intellettuali di statura mondiale cresciuti in città sarebbe lungo, basta perciò limitarsi ai più noti: si va dal poeta e romanziere Tagore, premio Nobel per la Letteratura nel 1913, a registi come Satyajit Ray, premiato in tutti i festival del mondo (Venezia compresa) e a Hollywood con l’Oscar alla Carriera nel 1992, e si arriva fino ad Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia nel 1998, e ad Amitav Ghosh, scrittore contemporaneo tradotto in tutto il mondo, Italia inclusa.

Quanto all’economia, Calcutta e il Bengala – lo Stato indiano di cui è capitale – corrono come un treno ad alta velocità. Secondo i dati diffusi dall’autorevole quotidiano Times of India il 5 aprile, il Pil del Bengala dal 2012 è cresciuto del 7,6% annuo (più della media indiana), il comparto industriale del 6,2%, il settore dei servizi del 9,4%. Eppure, se chiedete a un italiano che immagine abbia di Calcutta, vi risponderà più o meno questo: «La città della gioia di Lapierre, la città di Madre Teresa di Calcutta: una città di senzatetto, di malati, di guidatori di risciò e di lebbrosi…». Un esempio concreto di tale rappresentazione? Il 29 marzo di quest’anno, nella cittadina lombarda di Busto Arsizio, una serata dedicata a richiamare l’attenzione sul problema dei senzatetto è stata intitolata “Calcutta Arsizio”.

Un interno del Quest Mall di Kolkata. Foto di Marco Restelli

Un interno del Quest Mall di Kolkata. Foto di Marco Restelli

Intendiamoci: sarebbe davvero ingeneroso attribuire la ”colpa” di questa nostra rappresentazione di Calcutta – quantomeno molto riduttiva – alla grande opera compiuta da Madre Teresa con le sue Missionarie della Carità, opera che le ha meritato il Nobel per la Pace nel 1979. Piuttosto, la nostra percezione di Calcutta è stata in qualche modo distorta dal bel romanzo di Dominique Lapierre La città della gioia, che ebbe enorme diffusione alla fine del secolo scorso; pubblicato per la prima volta nel 1985, poi ristampato ovunque e infine trasposto al cinema in un film omonimo. In quel romanzo parzialmente autobiografico, ambientato negli anni Settanta, Lapierre faceva agire i suoi personaggi in una drammatica realtà che egli stesso aveva conosciuto bene, “La città della gioia” appunto, com’era chiamata la più vasta baraccopoli di Calcutta. I poveri, i malati, gli “ultimi fra gli ultimi” che vivevano in questa bidonville facevano parte di quel mondo di diseredati a cui si è dedicata anche Madre Teresa per alleviarne le sofferenze, con i grandi risultati che sappiamo; ma l’errore di noi occidentali sta nel confondere la parte con il tutto, cioè nel pensare che Calcutta stessa sia una specie di immensa baraccopoli.

La realtà odierna della metropoli bengalese è ben diversa, e a dirlo, oltre ai numeri dell’economia, è proprio una volontaria di Madre Teresa: la padovana Teresa Volpato. Alle sue spalle ha una storia che merita di essere raccontata. «Arrivai qui a Calcutta 18 anni fa con un viaggio di gruppo, per una vacanza che doveva durare 20 giorni», dice a Sette. «Ma poi venimmo a visitare questa casa, che all’epoca era la prima delle 22 Case di Madre Teresa oggi esistenti a Calcutta e… incontrammo proprio lei, già molto anziana. Conoscerla fu un’esperienza fulminante. Quando vidi cosa faceva e come lo faceva, le chiesi: “Come posso aiutarti?”. Lei mi rispose con un sorriso semplice: “Benvenuta. Se vuoi, puoi cominciare anche domani”. E così ho fatto. Il giorno dopo ho lasciato il gruppo e sono rimasta qui a lavorare come infermiera. I miei 20 giorni sono diventati 18 anni. E in tutti questi anni», continua la signora Volpato, «ho visto l’India e Calcutta cambiare grazie al boom economico: oggi in città non c’è nemmeno la metà della povertà che trovai quando arrivai qui. Ma mentre l’India corre, i nostri ospiti rimangono fermi: sono gli anziani senzatetto, i malati abbandonati da tutti. Noi cerchiamo di ridare speranza agli esclusi, anche se ancora oggi non abbiamo abbastanza medici volontari».

La Signora Teresa Volpato volontaria in una Casa di Madre Teresa di Calcutta. Foto di Elena Bianco

La Signora Teresa Volpato volontaria in una Casa di Madre Teresa di Calcutta. Foto di Elena Bianco

Calcutta, con i suoi 5 milioni di abitanti, che diventano 14 se si conta anche l’hinterland, è ben lungi dall’avere risolto tutti i propri problemi; ma è innegabile che stia cambiando rapidamente. Un mutamento diventato più evidente negli ultimi quattro anni, cioè da quando, dopo un trentennio di governo comunista, è arrivata al potere con il suo partito centrista la signora Mamata Banerjee, che ha dato nuovo impulso all’economia del Bengala senza dimenticare la cultura e il turismo (i 12 milioni di visitatori stranieri dell’anno scorso sono destinati ad aumentare). Le novità sono un po’ ovunque. In campo sociale, è stato avviato un programma di “tolleranza zero” verso la piaga della violenza contro le donne, che affligge molte parti dell’India.
In campo tecnologico, Calcutta celebra due primati in India:
il primo servizio di collegamento WiFi metropolitano e la realizzazione (in corso) del primo archivio comunale digitalizzato del Paese, una banca dati ricchissima di documenti storici come l’atto originale di vendita della città alla Compagnia Britannica delle Indie orientali o molte lettere autografe del Mahatma Gandhi. In campo urbanistico sono in via di ristrutturazione vari luoghi della metropoli, compresi i palazzi storici dell’età coloniale britannica. A cominciare dal luogo-simbolo della città: il Victoria Memorial, un maestoso edificio marmoreo di ispirazione neoclassica arricchito da statue realizzate da artisti italiani. Venne completato nel 1921 in memoria della defunta regina Vittoria e pagato in gran parte da offerte dei più fedeli sudditi indiani, benché Sua Maestà non si fosse mai degnata di mettere piede a Calcutta. Da vari decenni il Victoria Memorial ospita una ventina di gallerie d’arte, però solo il 10% delle opere che custodisce possono venire esposte al pubblico, per mancanza di spazi. Ma ora questo simbolo dell’India coloniale è diventato oggetto di un ambizioso programma di ampiamento: per il marzo 2017 è prevista l’apertura di nuove gallerie, destinate ad ospitare le migliaia di opere (soprattutto dipinti) che giacciono nei suoi magazzini.

Il Victoria Memorial monumento simbolo della città. Aprirà nuove gallerie d'arte. Foto di Marco Restelli

Il Victoria Memorial monumento simbolo della città. Aprirà nuove gallerie d’arte. Foto di Marco Restelli

Quest’India che rivaluta e mette in mostra la propria storia è la stessa che guarda al futuro gettandosi nella modernizzazione con un impeto che potremmo considerare ovvio e naturale in una nazione di giovani. L’India, infatti, è un Paese dove 600 milioni di studenti hanno meno di 25 anni di età, e dove la produzione di beni culturali, compresi il cinema e il software, viene considerata (a differenza che in Italia) una delle carte vincenti per il futuro. Calcutta è al centro di questo gioco, con la sua vocazione di capitale culturale che guarda a Occidente, favorita anche dalla sua tradizionale padronanza della lingua e cultura inglesi. Il gioco si esplica in un susseguirsi di iniziative durante tutto l’anno. Si comincia a gennaio con la Fiera Internazionale del Libro che richiama scrittori da ogni angolo del pianeta. A marzo il concorso “Internet of Things”, vinto in questa edizione da due geniali studenti che hanno inventato uno smart trolley capace di segnalare gli eccessi di emissione di gas di scarico e di regolarne automaticamente il consumo. In aprile la prima edizione della nuova Biennale d’Arte, «ulteriore segno della vitalità della nostra scena artistica, nella quale sta crescendo una generazione di giovani molto interessanti», dice a Sette Ashit Paul, Vicepresidente della Kolkata Academy of Fine Arts, la più prestigiosa istituzione indiana nel campo dell’arte contemporanea.

Un'altra opera esposta alla Kolkata Academy of Fine Arts. Foto di Marco Restelli

Un’altra opera esposta alla Kolkata Academy of Fine Arts. Foto di Marco Restelli

Fino ad arrivare a novembre con il Kolkata International Film Festival, kermesse di arte cinematografica ospitata nel glorioso palazzo Nandan intitolato a Satyajit Ray, il regista che inventò la “via indiana al cinema d’autore” fondendo l’umanesimo cosmopolita di Tagore e il linguaggio dei capolavori del Neorealismo italiano come Ladri di biciclette di De Sica. «Ma la storia del cinema non è l’unico legame con l’Italia di questa città, che non a caso è gemellata con Napoli», ricorda Cesare Bieller, giovane e brillante Console italiano a Calcutta. «Come Napoli, Calcutta ha una grandissima tradizione culturale da valorizzare oggi in chiave futura. E come Napoli, Calcutta cambia rimanendo tuttavia se stessa: con ritmi e stili di vita più lenti e forse più umani che in altre metropoli, guardando al resto del Paese con un sorriso sornione, com’è proprio di chi ha visto un po’ di tutto. Ed è anche questo che la rende così affascinante».


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