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L'Assemblea generale si è riunita, infatti, con più di due ore di ritardo a causa dell'opposizione dei rappresentanti serbi alla presenza dei rappresentanti del Kosovo che al momento non ha un seggio all'Onu. Dopo lunghe trattative il ministro degli Esteri serbo ha accettato la presenza dei dirigenti di Pristina come ''ospiti'' di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Usa e l'Assemblea ha potuto dare via libera alla risoluzione di compromesso con cui Belgrado accetta di dialogare con Pristina senza chiedere come condizione preliminare di riaprire i negoziati sullo status della sua (ex) provincia. Con questa decisione, ampiamente auspicata e sostenuta dai paesi europei tra cui l'Italia, Belgrado ha rimosso un ostacolo che rischiava seriamente di bloccare il processo di integrazione europea che proprio di recente aveva cominciato a mettersi in moto. Insomma, se per Enrico IV di Francia Parigi valeva una messa, per il presidente serbo Boris Tadic l'Europa può valere un compromesso.
Il 22 luglio, la Corte internazionale di giustizia dell'Onu, a cui si era rivolta la stessa Serbia, aveva stabilito (con un parere non giuridicamente vincolante, ma politicamente piuttosto pesante) che la dichiarazione unilaterale di indipendenza degli albanesi del Kosovo non aveva violato il diritto internazionale. Incassata la sconfitta, Belgrado si era allora rivolta alle Nazioni Unite presentando una bozza risoluzione secondo la quale una secessione unilaterale non è ammissibile e chiedendo "una soluzione accettabile per tutti, riguardo a tutte le problematiche principali", tra cui anche lo status del Kosovo, ribadendo per l'ennesima volta di non avere alcuna intenzione di accettare l'indipendenza del Kosovo. Nonostante gli attriti, dopo una lunga trattativa a cui hanno preso parte direttamente anche il presidente serbo, Boris Tadic, e la rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri, Catherine Ashton, la Serbia ha accettato di rivedere la bozza della risoluzione e si è arrivati al testo di compromesso poi passato all'Assemblea generale che fa cadere la condanna per la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo, accetta il parere della Corte dell'Aia e accoglie positivamente la prontezza dell'Ue "per facilitare un processo di dialogo tra le parti".
Soddisfazione e apprezzamento per l'approvazione della risoluzione sono venute un po' da tutte le parti. Il ministro degli esteri serbo, Vuk Jeremic, ha dichiarato che la risoluzione può contribuire ad un accordo generale di pace tra serbi e albanesi del Kosovo, ha sottolineato la disponibilità di Belgrado al dialogo pur ripetendo che la Serbia non intende riconoscere l'indipendenza della sua provincia. Del resto anche il presidente serbo ha tenuto a ribadire che la risoluzione non significa in alcun modo il riconoscimento dell'indipendenza. Il governo kosovaro, da parte sua, con un comunicato ha accolto con favore la decisione della Serbia di accettare il nuovo progetto di risoluzione preparato dall'Ue. Pristina ha spiegato il suo giudizio positivo con il fatto che la risoluzione "scarta qualunque possibilità di negoziare sullo status politico del Kosovo" ed è "completamente conforme alla realtà del Kosovo e della regione".
I 27 Paesi dell'Ue - cinque dei quali non hanno riconosciuto l'indipendenza kosovara - sono per altro concordi nel giudicare positivamente la risoluzione che del resto non mette in discussione la posizione dei Paesi membri che non hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Per l'Italia "l'adozione della risoluzione dimostra ancora una volta che la prospettiva europea resta un fattore di primaria importanza per aiutare il superamento delle crisi regionali in Europa", mentre per Parigi il dialogo è necessario per la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina, l’accelerazione del processo di integrazione europea ed il miglioramento dello standard di vita di tutti i cittadini. Anche la Spagna, che pure non riconosce l'indipendenza del Kosovo, ha espresso soddisfazione per l’accordo raggiunto tra Serbia e Ue sul testo della risoluzione. Valutazioni positive sono venute ovviamente da Washington, ma anche da Mosca grande sponsor della posizione serba.
Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Di certo non è finito niente, ma qualcosa di positivo è successo, smentendo i tanti profeti di sventura che anche all'indomani del parere del Icj si erano esercitati nelle più fosche previsioni sul futuro dei Balcani. Credo che sulla questione del Kosovo si possa cominciare a scrivere una pagina nuova, una storia diversa.
Sono troppo ingenuo e ottimista? Non so. La mia impressione è che, dopo la sconfitta di luglio all'Aja con la risoluzione approvata all'Assemblea generale dell'Onu, Belgrado abbia segnato un punto a suo favore. Anzi, quattro:
1 - mantiene la sua posizione contraria al riconoscimento dell'indipendenza di Pristina ma fa in modo che essa non pregiudichi il dialogo
2 - viene incontro alle richieste di Bruxelles contribuendo a ridurre un pericoloso ostacolo al processo di integrazione europea
3 - mostra un atteggiamento pragmatico e interessato prima di tutto alle condizioni di vita e al rispetto dei diritti della popolazione serba del Kosovo
4 - impedisce alle autorità kosovare di nascondersi dietro facili alibi obbligandole a misurarsi sul terreno delle cose concrete.
Forse stiamo assistendo ad una svolta davvero significativa e positiva per il futuro dell'ex Jugoslavia. L'Unione Europea ha il dovere di non perdere questa occasione e non deludere le aspettative agendo in coerenza con quanto affermato all'inizio di giugno al vertice di Sarajevo. Ma anche le classi politiche locali hanno un'enorme, vorrei dire storica, responsabilità. I prossimi mesi e anni ci diranno se ne saranno state all'altezza.
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