Premessa: lo stesso giorno della pubblicazione del parere della Corte, Tomas Miglierina, sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso, faceva notare che i giudici hanno stabilito a maggioranza che l'indipendenza del Kosovo non è illegale (perché non contrasta con le norme del diritto internazionale, né con la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza), ma "questo non significa che sia anche legittima". Una sottigliezza dovuta alla scelta dei giudici "di dare l'interpretazione più stretta e tecnica possibile al quesito che l'Assemblea, su iniziativa della Serbia, aveva rivolto loro".
Nei titoli dei quotidiani italiani del giorno dopo i due termini finiscono per equivalersi. Alcuni esempi: La Stampa, "Legale il kosovo indipendente"; Il Messaggero, "La corte dell'Aja: legittima l'indipendenza del Kosovo"; Corriere della Sera, "Indipendenza del Kosovo legittima"; Il Riformista, "L'Aja dice che l'indipendenza del Kosovo è legale".
E veniamo ai commenti che, nel bene e nel male, mi sono sembrati degni di nota e sui quali mi permetto qualche osservazione personale.
Elena Ragusin a pag. 7 del Sole 24 Ore di venerdì 23 luglio (titolo, "L'Aja: sì all'indipendenza del Kosovo"), scrive che gli scenari aperti dal pronunciamento della Corte sono tre, "anche se la perentorietà del parere dell'Icj di fatto riduce ad uno solo il possibile percorso per la stabilizzazione del Kosovo e dell'intera area balcanica: vale a dire l'avvio di nuove trattative, con la mediazione dell'Unione Europea, per la concessione di larghe autonomie al nord del Kosovo [...] sul modello dell'Alto Adige". Gli altri due scenari, che però "da ieri di fatto non sembrano più realistici", sono la spartizione o la creazione di una divisione tipo quella di Cipro.
Sempre il 23 luglio, sulla prima del Riformista ("L'Aja dice che l'indipendenza del Kosovo è legale") Luigi Spinola, dopo aver realisticamente ricordato che "a Belgrado sanno da tempo che il Kosovo è perduto ma nessuno è pronto ad ammetterlo", scrive che "la partizione teoricamente potrebbe risolversi lungo il fiume Ibar, che spacca in due la città di Mitrovica [...] La frontiera de facto del nuovo Stato è già qui. La spartizione certo non risolverebbe i problemi dei serbi rinchiusi nelle enclave. Ma un eventuale accordo potrebbe convincere Belgrado a smantellare le istituzioni parallele che tiene in piedi in Kosovo". Tuttavia, l'ipotesi "è destinata a rimanere sulla carta" per vari motivi.
Anche Marina Verna sulla Stampa del 23 ("Legale il kosovo indipendente"), dopo aver esordito constatando che il parere della Corte "era previsto e così è stato", nota opportunamente che "i prossimi giorni non saranno facili" perché "Pristina ha aspettative precise" ma la Serbia non ha intenzione di concedere nulla.
Questi tre articoli, tra quelli che ho potuto leggere, in qualche modo si pongono pacatamente il problema del dopo, di quello che potrà accadere dopo il parere dell'Icj e dopo le eventuali decisioni che potranno seguire la discussione prevista per settembre all'Assemblea generale dell'Onu, senza lasciarsi andare a disegnare scenari catastrofici.
Molti altri commenti pubblicati "a caldo" mi sono sembrati invece essere più attirati dalle possibili conseguenze che il "precedente" costituito dal parere dell'Icj sul Kosovo potrebbe provocare in altre aree dell'Europa e del resto del mondo alle prese con spinte separatiste e movimenti indipendentisti più o meno violenti. Scontata la citazione dei casi di Abkhazia e Ossezia, gli esempi citati vanno dai serbo-bosniaci ai còrsi, dai curdi agli albanesi di Macedonia, dagli abkhazi agli uiguri, dal Tibet ai Paesi Baschi, da Cipro Nord alla Transdnistria e via discorrendo fino ai "lumbard" di casa nostra.
Marco Berti, sul Messaggero del 23 luglio ("La corte dell'Aja: legittima l'indipendenza del Kosovo"), scrive che "ora il timore della comunità internazionale è che nella ex provincia kosovara si crei nuovamente tensione fra serbi e albanesi". Anche Lamberto Zannier, inviato speciale del segretario generale dell'Onu per la regione, nell'intervista pubblicata da Repubblica lo stesso giorno, ammette che "c'è sempre il rischio che una scintilla possa innescare un processo di crisi sul terreno difficilmente gestibile da parte della comunità internazionale", ma si mostra scettico sulla possibilità che questi attriti possano degenerare auspicando un dialogo diretto tra Belgrado e Pristina come "prossimo passo verso la normalizzazione del Kosovo".
C'è invece chi vede nero, nerissimo: "Il Kosovo indipendente è una bomba ad orologeria piazzata nel cuore dell'Europa. Guai a dimenticarlo", ammonisce Alan J. Kuperman, sentito da Francesco Carella per Libero (articolo del 25 luglio intitolato "La Serbia presenterà il conto per il Kosovo indipendente"). Kuperman viene definito scienziato della politica, esperto di conflitti etnici e nientepopodimenoche massima autorità nel campo degli studi sui Balcani. Dunque, secondo la massima autorità, "la Corte, di fatto, ha avallato un principio ad alto rischio: l'indipendenza di un paese si ottiene con la ribellione", (ah sì?) la qual cosa, dice sempre la massima autorità, "può dare la stura ad altre rivendicazioni pericolose e non solo nell'area balcanica. Pensi solo ai Paesi Baschi, alla Corsica, ai turco-ciprioti e a tante altre realtà difficili". Insomma, dice il professore, "la verità è che si sta scherzando con il fuoco" e si chiede: "Chi, allo stato delle cose, potrebbe vietare alla Republika Srpska di dichiarare la propria indipendenza"? A quel punto, prosegue inperterrito, "il rischio di una nuova guerra serbo-bosniaca diventerebbe concreto". Parola della massima autorità nel campo degli studi sui Balcani che, a mio modesto parere, se invece di seguire l'evoluzione della vicenda dal suo studio all'università del Texas, come scrive Carella, andasse un po' più "nel campo" eviterebbe di fare affermazioni che hanno scarsa aderenza alla realtà.
Il che non impedirebbe purtroppo a Libero di pubblicarne altrettante, come quelle del professor Luca Galantini che il 23 luglio (titolo "L'avamposto cristiano terra di conquista dell'estremismo islamico"), teneva diligentemente a informare i suoi lettori di quanto sia "risaputo nelle cancellerie occidentali che da tempo, nell'area balcanica, il fondamentalismo islamico ha dato avvio ad un 'jihad bianco', ovverossia una silente quanto efficacissima opera di conquista delle istituzioni politiche, delle leve di governo, dei centri economici e dell'opinione pubblica attraverso gli ingentissimi finanziamenti provenienti da paesi come l'Arabia Saudita gli Emirati, l'Iran e la Turchia". E naturalmente "questa opera invasiva si coniuga alla martellante propaganda religiosa islamica di profilo fondamentalista che tali governi sostengono attraverso le numerose comunità musulmane presenti nei Balcani". Insomma, il "cinico pragmatismo" e la "debolezza intrinseca" dell'Ue rischiano di fare del Kosovo il monumento alla memoria dell'identità cristiana dei Balcani. Nonostante sia docente universitario di diritto internazionale, Galantini nel suo articolo mostra una certa confusione sulla storia dei Balcani e una discreta non conoscenza della attuale situazione della regione unita ad una lettura distorta della realtà politica di paesi assai differenti fra di loro come Arabia Saudita, Turchia e Iran che si possono spiegare solo con il furore ideologico anti-islamico.
Continua...