A complicare le cose viene ora la notizia di una "contro dichiarazione" di indipendenza dei territori a maggioranza serba nel nord del Kosovo inviata due giorni fa a radio Kim, la principale emittente dei serbi del Kosovo, da parte di una non meglio definita "Alleanza delle municipalità delle province autonome del Kosovo e Metohija". L'iniziativa non è stata accolta nel migliore dei modi a Belgrado. Il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, si è affettato a condannarla come "il lavoro di qualche persona irresponsabile" invitando i serbo-kosovari a "non cedere alle provocazioni". Nella provocazione sembra essere caduto invece il ministro degli Interni di Pristina, Bairam Rexepi, che, intervistato dal quotidiano serbo Danas, ha dichiarato che "la Comunità internazionale è stata informata dal governo kosovaro albanese che potrebbe essere usata la forza nelle aree serbe del Kosovo". Dichiarazione che ha immediatamente suscitato allarme nelle cancellerie internazionali e che è stata successivamente smentita dallo stesso ministro il quale ha assicurato in una nota di non avere "mai menzionato l'utilizzo di armi nell'intervista".
Intanto il presidente serbo Boris Tadic, come era stato preannunciato dopo il parere della Corte internazionale di giustizia ha spedito 55 "inviati speciali" in altrettanti Paesi per trovare sostegni contro il riconoscimento del Kosovo, mentre il presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu, ed il premier Hashim Thaci hanno scritto ai paesi membri delle Nazioni Unite per cercare nuovi riconoscimenti internazionali e invitando a votare contro la risoluzione serba. La quale risoluzione è un altro elemento di tensione. La Serbia, inizialmente, aveva fatto sapere di non essere intenzionata ad accogliere l'invito dell'Ue a modificare il testo in cui propone una riapertura dei negoziati con Pristina "su tutte le questione aperte", incluso, anche se non esplicitamente, lo status del Kosovo. Oggi invece da Belgrado si dice, per bocca del ministro dell'Interno, Ivica Dacic, che la Serbia è "aperta a modificare" il testo della risoluzione presentata all'Assemblea generale delle Nazioni unite. "Per noi era importante che la Serbia depositasse per prima una proposta di testo, poichè la prima depositata è anche la prima che si vota e, se approvata, la seconda bozza di testo non arriva nemmeno alla votazione", ha spiegato Dacic precisando che "vi erano informazioni politiche e di altra natura" che altre parti intendessero depositare un loro testo.
"Siamo pronti a tutto - ha detto Dacic - tranne a che il testo metta un punto sulla questione Kosovo, significando in tal modo che la questione dello status del Kosovo è risolta". Che è invece proprio la questione che per Pristina è definitivamente chiusa. Ci sarà di certo da lavorare nelle prossime settimane per le diplomazie e per gli analisti. Anche perché dalla questione del Kosovo dipende il proseguimento del processo di integrazione europea della Serbia. Una questione che nel Paese comincia a suscitare preoccupazioni in alcune forze politiche come i liberaldemocratici il cui leader, Cedomir Jovanovic, da sempre favorevole all'indipendenza kosovara, chiede una politica diversa sulla questione e offre la propria collaborazione in questa direzione. Dopo un estate piuttosto calda, avremo probabilmente un autunno niente affatto fresco. Anche perché all'inizio di ottobre ci saranno le elezioni generali in Bosnia dove la questione kosovara è seguita con estrema attenzione, soprattutto nella Republika Srpska, e viene quotidianamente sfruttata nella campagna elettorale. Per i Balcani si prepara un autunno caldo.