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L’idea di poter conoscere una ragazza e di costruire, giorno per giorno, qualcosa di solido era totalmente fantasiosa. Un giovane della sua età aveva per prima cosa la responsabilità di costruirsi una posizione sociale e questo, lo sapeva bene, poteva farlo solo attraverso il duro lavoro. Ad una compagna ci avrebbe pensato tra qualche anno, quando i suoi colleghi avrebbero cominciato a farsi delle domande e, in un modo o nell’altro, sarebbe stato costretto a “regolarizzare” il suo status sociale attraverso un matrimonio. Si sarebbe rivolto ad un’agenzia specializzata: avrebbero pensato a tutto loro. Per il momento gli bastava sognare le ragazze delle riviste, sfogliate senza troppa convinzione all’interno del drugstore. Gli piacevano in realtà le ragazze semplici, tutto il contrario di quelle tizie ritratte in pose ammiccanti su quelle luccicanti riviste. Ecco, magari una come quella ragazza con l’impermeabile grigio proprio di fronte a lui, dai lunghi capelli corvini, che stava già aspettando l’autobus alla fermata prima del suo arrivo. L’uomo guardò l’orologio: l’autobus sarebbe passato a momenti. Si guardò in giro, fece due passi avanti e indietro sotto la pensilina della fermata e, con l’occasione, cercò di guardare meglio in volto la sua compagna di attesa: la ragazza indossava una mascherina chirurgica che le celava quasi completamente il volto. I suoi occhi però erano bellissimi, almeno di quello poteva dirsi certo. La ragazza gli lanciò uno sguardo algido, poi abbassò gli occhi e si strinse nell’impermeabile. “Serata fredda, non è vero?” disse l’uomo, ma non ottenne risposta e così lasciò perdere. L’autobus finalmente arrivò. L’uomo salì ed andò a sedersi in fondo. La ragazza salì immediatamente dopo e ne percepì per un attimo la presenza alle sue spalle. Dopo qualche istante di esitazione, anch’ella andò a sedersi in fondo al veicolo, proprio di fronte a lui. I loro occhi si incrociarono più volte nel corso del breve tragitto verso casa.
Doveva proprio essere molto bella dietro quella mascherina. Più di una volta ebbe la tentazione di rivolgere di nuovo la parola, ma si trattenne. C’era qualcosa di dannatamente attraente in quello sguardo. Quando le luci della sera le illuminavano il volto attraverso i finestrini dell’autobus, poteva quasi percepire un senso di tristezza nell’animo della sua compagna di viaggio. Era solo una sua impressione o la ragazza stava cercando dentro di sé il coraggio di rompere il silenzio? Forse anche lei lo trovava in qualche modo attraente. Forse.
Quel gioco di sguardi venne interrotto bruscamente dal conducente che segnalava la fine della corsa e invitava i presenti a lasciare l’autobus. L’uomo si riscosse da quella specie di trance ipnotica nella quale lo avevano costretto i propri pensieri, scese dall’autobus e si incamminò verso casa. Aveva completamente dimenticato la propria cena. La sua attenzione era completamente assorbita dal rumore di passi femminili alle sue spalle. La ragazza abitava forse nel suo stesso quartiere? O lo stava seguendo di proposito? E a quale scopo? Non capiva, quella sciocca, che avrebbe potuto essere pericoloso per lei pedinare in quel modo uno sconosciuto? A pochi passi dalla sua abitazione l’uomo si voltò. Lei era lì, proprio di fronte a lui. Lo guardava. Si guardarono. Il tempo sembrò congelarsi. Fu lei infine a rompere il silenzio. Mosse un passo verso di lui e disse: “Mi trovi bella?”. L’uomo probabilmente arrossì, ma il buio tutt’attorno fece in modo che ella non lo ebbe a notare. “Sì”, balbettò lui. La ragazza avvicinò lentamente la mano destra all’orecchio e, con un gesto delicato, rilasciò l’elastico che fino a quel momento aveva tenuto al suo posto la mascherina. “E adesso? Mi trovi ancora bella?”. La mostruosità che era stata appena rivelata era insopportabile. L’uomo urlò, indietreggiò di qualche passo e cadde a terra. L’ultima cosa che vide fu lo scintillio di un enorme paio di forbici che calava sopra di lui. Poi un dolore indicibile. Poi più nulla.
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Naturalmente, trattandosi di una leggenda metropolitana, nel corso degli anni hanno cominciato a diffondersi i più disparati suggerimenti per coloro che, malauguratamente, si dovessero trovare a fare i conti con la Kuchisake-Onna. Visto che rispondere “sì” o “no” alla seconda domanda porta invariabilmente alla morte, la via d’uscita più ovvia è quella di impedire che questa venga posta. Quindi, cari lettori, se foste in Giappone ed una sconosciuta vi dovesse chiedere cosa ne pensate del suo aspetto... beh, mettete a freno le vostre fantasie e fuggite subito a gambe levate! E voi, care lettrici, non crediate di essere al sicuro! La Kuchisake-Onna può fermare anche voi e, se avete anche solo per un attimo sottovalutato questo mio post, zac zac, vi troverete trasformate voi stesse in novelle Kuchisake-Onna assetate di vendetta. Sì, perché secondo quella che sembra essere la regola imprescindibile attorno a cui ruotano tutte le storie giapponesi del terrore, è proprio la vendetta che muove le gesta della Kuchisake-Onna da ormai un migliaio di anni. La leggenda affonda infatti le sue radici addirittura nel periodo Heian (794 - 1185 d.C.): a quel tempo c'era una giovane donna, molto bella e molto vanitosa, sposata con un samurai, che per vincere la noia del suo matrimonio usava concedersi ai pellegrini di passaggio. Scoperto il tradimento e accecato dalla gelosia, il samurai estrasse la sua katana e sfregiò la donna aprendole una ferita che andava, passando sulla bocca, da un orecchio all'altro. A quel punto il samurai disse alla moglie : "Adesso chi penserà che tu sia ancora bella?". Da allora lo spirito della donna è alla continua ricerca di vittime sulle quali scatenare la propria vendetta.
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