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Kuwait senza rights

Creato il 20 aprile 2013 da Cicciotopo1972 @tincazzi

Sono alla ricerca un negozio che venda sigarette elettroniche. Monto su un taxi per andare da Sharq a Kuwait city. Cinque minuti di tragitto, se non c’e traffico. La meta è il Jashanmall shop alle Homoud towers. Alla reception del Marriot mi dicono che lì dovrei trovarle. Il mio atomizzatore è sulla via del tramonto.

Qui i taxi si dividono tra quelli guidati da arabi e quelli guidati, principalmente, da indiani/filippini. Ovviamente il prezzo è differente. In qualsiasi parte del mondo andrete, il primo impatto con i tassinari sarà composto da una probabile fregatura, soprattutto in luoghi dove la richiesta ”può mettere il tassametro” è come dire “può accendere i retrorazzi dell’astronave”. La risposta è “Cosa?”.

I tassisti indiani generalmente sono i più onesti. Non è una novità affermare che in Kuwait  i diritti dei lavoratori stranieri vengano quotidianamente calpestati (qui trovate un report di Amnesty sulle condizioni di sfruttamento dei lavoratori stranieri, ma non solo: si parla anche di violazioni dei diritti umani e  civili). Il tassista, che ha una piccola Madonna di plastica appiccicata sul cruscotto, racconta che a casa ci ritorna ogni due anni. Per cinque mesi. Poi riparte e per altri due anni non vede la famiglia. Roba da suicidarsi all’istante. “Non mi piace vivere qui. Non ti rispettano”, dice l’autista.

Normalmente i lavoratori stranieri, soprattutto quelli asiatici, sono trattati come pezze da piedi. Soprattutto le donne. I prezzi degli affitti sono aumentati e il dinaro kuwaitiano è una martellata nei denti pure per chi arriva con dollari o euro dal prosperoso Occidente (un caffè da Starbucks costa sui 5 dollari abbondanti).

Sulla stampa kuwaitiana, ad esempio il Kuwait Times o l’Arab Times, non è raro leggere di casi di violenza sui lavoratori domestici, spesso donne. Ultimamente la questione relativa ai diritti dei lavoratori stranieri (expats) è stata trattata anche dal governo, alla ricerca di una maggiore tutela nei loro confronti.

Il tragitto verso il negozio dove avrei dovuto trovare le sigarette elettroniche si rivela fallimentare: l’orario di chiusura va dalla una alle 5 del pomeriggio. Sono le 15 e 30 e quindi riprendo un altro taxi per l’albergo. Il caldo incominicia a farsi sentire. Trentadue gradi, in questo periodo.

No, non voglio smettere di fumare. Voglio solo fumare dappertutto.


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