Riflessioni sul preoccupante paesaggio antropologico col quale l’attuale governo si trova a dover fare i conti in merito all’immigrazione dopo la nomina del Ministro Kyenge
A fronte delle recenti vicende, sembra doveroso fermarsi a riflettere sull’importante tema dell’immigrazione.
Argomento che, dalla nomina di Cécile Kyenge Kashetu come Ministro dell’Integrazione nel Governo Letta, ha continuamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica italiana. Fin troppo numerosi gli attacchi verbali di cui la Kyenge è stata vittima negli ultimi quattro mesi a causa delle sue proposte e della sua provenienza. Parte dell’opposizione tende a tralasciare il proprio ruolo politico per concentrarsi invece su atti odiosi nei confronti del neo-Ministro. La prassi è sempre la stessa: prima si lancia l’insulto, poi si chiede scusa, si dice che il razzismo non c’entra nulla e che si tratta puramente di ragioni politiche. In particolare alcuni membri della Lega Nord e del Pdl hanno dimostrato tutto il loro malcontento nel vedere un’italiana, di origini straniere e di colore, occupare il posto di ministro. Vale la pena proporre una breve quanto sconcertante sintesi.
Tra i primi insulti possiamo ricordare quello proveniente dal consigliere leghista Emilio Paradiso che ha definito la Kyenge “nero di seppia”. Anche Salvini ha accusato il ministro con parole pesantissime, definendola la responsabile del gravissimo episodio di Niguarda: “I clandestini che il ministro di colore vuole regolarizzare ammazzano a picconate: Cecile Kyenge rischia di istigare alla violenza nel momento in cui dice che la clandestinità non è reato, istiga a delinquere”. Così il segretario delle Lega ha commentato la vicenda drammatica avvenuta a Milano.
É poi il turno del Pdl con Alessandro Dalrio il quale, dopo le affermazioni del Ministro dell’integrazione in occasione della Festa Multietnica a Bologna, scrive su Facebook “Meticcia sarà lei”, quasi si trattasse di un’offesa. Solo pochi giorni dopo è nuovamente il turno del Carroccio con la gravissima affermazione di Dolores Avvandro che arriva a dichiarare: “Ma mai nessuno che la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato??????? Vergogna!”. Un’intollerabile istigazione alla violenza che porterà all’espulsione della donna. Nonostante la lista possa sembrare già sufficientemente ricca, le offese non si fermano qua: non possiamo non richiamare alla mente le dichiarazioni di Calderoli che, alla festa del suo partito a Trevoglio, ha detto: “Quando vedo Kyenge non posso non pensare a un orango”. Parole offensive che il protagonista definirà poi una battuta simpatica.
Insomma, i contrari alla modifica della legge Bossi-Fini offendono il Ministro dell’integrazione servendosi dei peggiori paragoni come fa anche Cristiano Za Garibaldi, assessore del comune di Diano Marina in provincia di Imperia, amministrata da una giunta di centro destra. “Se becco la Kyenge… il fatto è che non frequento di notte il rettilineo di Ceriale”. I residenti della riviera di Ponente sanno che questo tratto di Aurelia è quello abitualmente frequentato dalle prostitute e in particolare da quelle di origine africana.
“Vaff… musulmana di m..” è invece ciò che ha scritto un assessore della Lega Nord nel Brasciano, Giuseppe Fornoni. Tra le provocazioni più recenti quella di Matteo Salvini, non nuovo – come abbiamo visto – ad insulti rivolti alla Kyenge. Il vice segretario del Carroccio propone l’abolizione del Ministero dell’integrazione da lui definito inutile e ipocrita: “Secondo voi la Lega trova 500 mila cittadini pronti a firmare un referendum che abolisca questo ministero?”. In autunno inizia la raccolta firme.
I gesti offensivi non vengono però solo dal mondo politico. Eclatante il lancio di banane avvenuto a Cervia, seguito dall’azione di Forza Nuova che ha abbandonato nel parco alcuni manichini insanguinati, riportanti la scritta “L’immigrazione uccide – No ius soli”. O ancora basti pensare al sessantenne di Verona che, dopo aver mostrato su Facebook una stanza piena d’armi, si diceva pronto a “festeggiare” l’arrivo del ministro.
Purtroppo c’è anche chi passa direttamente ai fatti per dare sfogo al proprio insensato odio razziale. Risale solo a pochi giorni fa il vergognoso tiro al bersaglio avvenuto a Napoli contro alcuni immigrati. Si è trattato di un crimine premeditato: gli spari non sono stati diretti alla folla, ma contro obiettivi scelti sulla base del colore della pelle. Questo recente episodio di cronaca dà modo di riflettere su tematiche quali l’intolleranza, il rispetto e la convivenza. Riflessioni che possono essere estese più in generale alla questione dell’immigrazione, argomento che, come è stato già evidenziato, dalla nomina di Cécile Kyenge Kashetu come Ministro dell’Integrazione nel Governo Letta ha iniziato a creare non poche polemiche.
Ci sarebbero da porsi numerose domande. Da dove deriva tutto quest’odio represso? Non mi riferisco solo ai fatti già menzionati, ma anche ai commenti di sdegno che è molto facile sentire in merito alle ondate di profughi che arrivano in Italia. È necessario cercare una descrizione di razzismo che possa essere adatta al presente. Si tratta di analizzare le medesime forme di rifiuto che però si presentano sotto le vesti di nazionalismi, rivendicazioni etniche, integralismi religiosi; insomma, la stessa sostanza sotto una vernice diversa. Il nuovo razzismo è un’enfatizzazione delle differenze culturali, ma contiene in ogni caso la paura dell’altro, la paura del diverso.
Mi sembra che in generale si cada sempre nel medesimo errore: viene costruita un’identità unica dell’immigrato, e così il distacco, la diffidenza e il timore nascono nei confronti del mucchio indefinito e omogeneo accomunato da una dissomiglianza assoluta. In questo modo le individualità vengono totalmente appiattite, tanto che troppe volte non vengono riportati nemmeno i nomi di queste persone alle quali dovrebbe essere riconosciuta una dignità. Quella massa compatta che annulla la dimensione individuale viene costruita spesso dall’informazione, quella stessa informazione che raggruppa migliaia di individui sotto il comun denominatore dell’emigrazione senza mai interrogarsi sulle cause che possono averli condotti verso quest’esperienza. Non dimentichiamo che le cause sono quasi sempre la miseria, la fame, la guerra. Non dimentichiamo quali potrebbero essere le responsabilità italiane in merito.
Conseguente alla mancata attenzione nei confronti dei singoli è la generalizzazione: viene creata così la categoria dello straniero, pericoloso, cattivo e non meritevole di fiducia. La sua malvagità non merita il benché minimo dubbio. Mentre noi tendiamo a immaginarci come una comunità felice e buona, loro sarebbero i cattivi. Basterebbe un po’ di spirito critico di fronte alle notizie di cronaca per capire che in tutte le comunità sono presenti dei delinquenti, e che quello che in realtà è un problema sociale non andrebbe etnicizzato. Il problema è che spesso, attraverso un uso qualunquistico o strumentale della comunicazione mediatica, si opera una sorta di classificazione “culturale” degli individui. Un esempio preoccupante è dato dal sito chiamato Tutti i crimini degli immigrati. La domanda è: come possono esistere siti come questo che hanno il solo obiettivo di fomentare l’ignoranza? Quando si riuscirà a capire che si tratta di problemi sociali e non culturali? É sicuramente più comodo chiamarli scontri culturali, gli antichi romani hanno fatto scuola col celebre motto Divide et impera.
Ciò che è certo è che siamo in un momento di crisi radicale che, sempre con maggior durezza, spinge gli individui a stringersi nel cerchio ristretto della difesa, con ogni mezzo, del proprio spazio vitale e dei propri interessi. Molto spesso si tratta infatti di conflitti sociali derivanti dal percepire gli immigrati come concorrenziali da chi ha un lavoro precario. Una vera e propria guerra tra poveri. Ma dove sta il confine tra problema sociale e razziale? Certe idee sbagliate vanno combattute discutendole nel merito per contrastarle socialmente, politicamente e culturalmente.
Ed è con questo preoccupante paesaggio antropologico con cui il Governo Letta si trova a dover fare i conti. Bisognerebbe stare più attenti al linguaggio, perché la conseguenza (ovviamente su un terreno già predisposto) è quella di condizionare e fomentare sentimenti negativi. Questi sono i frutti che ora raccogliamo.