Tre fratelli, un maschio e due femmine, tra i 20 e i 30 anni giocano spensieratamente all'interno della loro villa, dispersa tra le montagne della Grecia.Tutto sembra scorrere tranquillamente quando si capisce che i tre sfortunati sono prigionieri inconsapevoli di due genitori iper-apprensivi che li tengono segregati fin dalla nascita, impedendo loro ogni possibile contatto con la realtà dell'esterno.Tutto il loro mondo rimane racchiuso tra le alte mura che circondano la dimora, ma la vera gabbia è quella psicologica e oscurantista, creata da un padre possessivo e ossessivo e una madre succube e accondiscendente.Tra azioni moralmente ed eticamente al limite del comprensibile si farà largo la figura di una involontaria salvatrice, la pseudo-prostituta Cristina, che porrà le basi per la liberazione di uno dei tre reclusi.
I “Kynodontas” sono i denti canini. I canini da latte cadono quando siamo piccoli e vengono sostituiti da quelli definitivi, più vigorosi e appuntiti.Kynodontas è un film complesso da valutare, sotto molteplici punti di vista perché affronta temi tabù e problematiche pedagogiche importanti.E' difficile guardarlo senza provare un molesto senso di scopofilia misto a pena e moralismo facile. E' impossibile inquadrarlo in un genere preciso, ma come insegna il Malpertugio: “Ci sono infinite sfumature che cerco in questo non-genere”. Quindi, personalmente, una sfumatura horror ce la possiamo anche dare.Da un punto di vista prettamente cinematografico la regia di Yorgos Lanthimos è latente, non è il centro della pellicola e le inquadrature sono semplici e stilizzate, atte a mantenere l'attenzione su una sceneggiatura che rimane in piedi nonostante le falle che si possono intuire in un racconto come questo (Nessun parente? Assistenti sociali, no, eh? Venditori porta a porta, mai? Malattie?). Ma questo non è assolutamente un aspetto che disturba nel film, mai.Gli attori sono meravigliosi, a partire dalla sorella “maggiore” che esprime una morbosa sensualità lolitica, e interpreta il suo ruolo con impegno e serietà, fino alla “madre” che rappresenta egregiamente la funzione di controllore apatico.Il migliore però è il “padre” che si stampa a fuoco nel mio cervello come uno dei peggiori aguzzini famigliari di sempre, assieme a Perry Banson, alias Dad, di “Mum & Dad”. Brutto, peloso e antipatico, impersona in ogni aspetto il “padre-padrone” e fa accapponare la pelle quando cerca di esternare dolcezza e amore verso i figli.Nel film non vengono mai pronunciati i nomi dei protagonisti. Loro sono solo “il padre”, “la madre”, “il maschio”, “la grande” e “la minore”. Questo fatto amplifica l'angoscia che si prova durante tutto lo svolgimento della trama. Solo ad un certo punto, quando la coscienza di uno dei tre fratelli comincerà ad espandersi, si udirà un nome: “Bruce!”; ripetuto fino alla nausea.Il greco moderno, che è la lingua in cui è parlato il film, rende ogni dialogo completamente piatto e senza sentimento. A mio parere, il doppiaggio toglierebbe una parte importantissima alla recitazione che si basa fortemente sulla dialettica “falsata” dei protagonisti. Quindi consiglio caldamente di vederlo con i sottotitoli che si possono scovare facilmente in rete.In questa storia il perturbante si cela nella vita quotidiana dei tre fratelli, negli insegnamenti distorti dei genitori e nella loro sessualità corrotta.Il “maschio” si trova in età puberale o post-pubertà e il padre, per attutire i suoi bisogni sessuali, gli porta con regolarità una donna, Cristina, che si fa pagare per le sue prestazioni. Il sesso tra la donna e il ragazzo è una tra le rappresentazioni più turbanti degli ultimi tempi. Nessun sentimento, nessun risentimento, nessun piacere.Il peggio arriva quando Cristina entra in contatto con la “maggiore” e decide di scambiare un suo cerchiello per i capelli con una prestazione di cunnilinguo. Dopo un po' la “maggiore” intuisce l'immoralità nel comportamento della donna e ne approfitta per barattare delle videocassette. Questo “furto di realtà” farà scattare la molla della pazzia nella ragazza che porterà l'intera vicenda verso un doloroso epilogo. Quando il padre si accorgerà del “male” che è entrato a casa sua, deciderà di sostituire Cristina con una delle due sorelle. La “scelta” del fratello “maschio” è assolutamente da non perdere.Nel film ci sono delle scene che ti entrano sotto pelle e ti portano a dubitare della tua stessa moralità. Quando le due sorelle arrivano a un passo dal rapporto lesbico, ti chiedi se lo vuoi vedere o se quello a cui stai per assistere è una deviazione malata. Quando madre e padre sono mezzi nudi davanti a un film pornografico, pensi ai tuoi, di genitori, e ti raggiungono delle visioni davvero raccapriccianti. Quando vedi il “maschio” eccitarsi (e si vede davvero tutto...) con la masturbazione eseguita dalla “maggiore”, allora lo stomaco comincia a dare segni di cedimento.E il gatto? E i pesci in piscina? E gli aerei giocattolo? Sono una serie di astute invenzioni che mantengono viva l'attenzione e sorprendono per lo spessore e l'intensità narrativa.Il punto cruciale del film, in ogni caso, sta nell'indottrinamento attuato dai genitori verso i figli. Avete presente quando vostra madre vi ha detto da piccoli: - Non uscire che c'è il Babau/Lupo/Uomo nero? Ebbene, provate a pensare se questi ammonimenti rimanessero in voi come dogmi assoluti, e non vi fosse ombra di dubbio sulla loro verità. Questo è quello che credo sia passato nella testa dei due scrittori (Lanthimos e Filippou) che poi l'hanno tradotto a meraviglia, portando sullo schermo una vicenda tanto assurda quanto realistica e cruda. Non c'è violenza come l'abbiamo conosciuta troppe volte al cinema, non ci sono assassini o torturatori, non c'è spasmo e paura, solo un piccolo canino superiore destro (“o sinistro, non ha importanza...”) che cade sotto i colpi di un greto oscurantismo casalingo e non ricrescerà mai più.Kynodontas è nominato agli Oscar 2011 come miglior film straniero e ha già vinto una gran quantità di premi e ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo. Complimenti, non è facile per una pellicola di questo stampo. Da vedere assolutamente, stringendosi in grembo il proprio peluche preferito e lasciando fuori dalla porta ogni moralismo.
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