Kyōaku (凶悪, The Devil's Path). Regia: Shiraishi Kazuya. Sceneggiatura: Takahashi Izumi, Shiraishi Kazuya. Interpreti e personaggi: Yamada Takayuki (Fuji), Lily Franky (Kimura), Pierre Taki (Sudo), Ikewaki Chizuru. Produzione: Chiba Yoshinori, Kawamura Naonori, Ōyama Katsumi, Saitō Hiroaki per Kazumo. Distribuzione: Nikkatsu. Durata: 128 minuti. Prima proiezione in Giappone: 21 settembre 2013. Girato in DCP.
Links: Sito ufficiale (in giapponese) - Nicholas Vroman (a page of madness) - JapanCinema.net (con trailer)
Punteggio ★★★
Dopo aver lavorato con Wakamatsu Kōji, Yukisada Isao e Inudō Isshin, Shiraishi Kazuya ha esordito nel lungometraggio con l’interessante Lost Paradise in Tokyo (2009), crudele storia del rapporto di due fratelli, uno dei quali con problemi mentali, e di una giovane cantante che occasionalmente si prostituisce. L’andamento frammentario di quel film, il carattere estremo di certe sue situazioni e una certa autoironia che lo contrassegnava, si ritrovano anche in The Devil’s Path. La vicenda – tratta da un fatto realmente accaduto – verte questa volta su di un giornalista, Fuji, cui si rivolge un criminale in carcere, Sudo, deciso a confessare i suoi crimini e, soprattutto, quelli del suo boss, Kimura, di cui, anche a ragione, vuole vendicarsi. Costruito attraverso continui e intricati flashback, il film introduce lo spettatore in un mondo di efferati crimini e malsane perversioni – in un clima un po’ alla Miike dei “bei tempi (forse) andati” – in cui precipita anche lo stesso protagonista che finisce quasi col perdere il contatto con la realtà. La sua stessa dimensione familiare – contrassegnata dai difficili rapporti fra la moglie e la suocera, e dalle continue richieste d’aiuto della prima, cui lui non è in grado di rispondere perché ossessionato dalla sua inchiesta – ne è gravemente minata, sino a un probabile punto di non ritorno. Fra i passaggi più forti e riusciti del film, non si può non citare quello della famiglia che, indebitatasi col clan di Kimura, è costretta a cedere a questi il nonno. Gli uomini di Kimura lo ubriacheranno fino a farlo morire, in modo tale poi da poterne riscuoterne l’assicurazione sulla vita. A rendere ancora più atroce e crudele la scena c’è il momento in cui i criminali rivelano all’uomo la complicità dei suoi familiari a davanti a lui telefonano a questi per sapere se vogliono che il tutto sia portato a compimento. Alla fine, poiché il premio non basterà a compensare il debito, Kimura suggerirà che dopo il nonno potrà essere la volta della nonna. Shiraishi conduce il film con una regia tesa e un’abile costruzione dell’intreccio (che comprende anche efficaci ripetizioni narrative, come quelle dell’iniziale omicidio di Igashi, chiave di volta dell’intrigo). Se l’attore protagonista Yamada Takayuki appare spesso “troppo in parte” (cosa che accade non di rado, come invece vorremmo, nel cinema giapponese), Lily Franky (visto di recente nel ruolo dell’altro padre di Like Father, Like Son di Koreeda) conferisce al film la giusta dimensione ironica. [Dario Tomasi]