Nella ricorrenza dell’attacco alle Twin Towers, a Bengasi è stato ucciso l’ambasciatore americano Chris Stevens. “Come e perché” sono dati ancora ignoti e in una diversa circostanza ciò sarebbe considerato inaudito. Non c’è dubbio che se fosse avvenuto, per esempio, in Algeria o Tunisia, la risposta diplomatica e militare sarebbe stata immediata, ma la Libia è ora un “protettorato” americano, alla guida del quale vi sono libici con la doppia nazionalità Usa. La Casa Bianca ha tentato di etichettare il fatto entro le sommosse mondiali per lo sdegno suscitato dal film Innocent Muslim. La tesi, come quella di una vendetta per l’uccisione di un membro libico di AlQaeda, ha retto poco. A denti stretti si è dovuto definirlo atto di terrorismo. Risposta esauriente? Assolutamente no.
Chris Stevens si trovava in un edificio che solo per modo di dire era un “Consolato”. L’unico consolato americano è a Tripoli, a ridosso dell’Ambasciata e per Bengasi non era mai stato nominato un Console.
Stevens era in Libia dallo scoppio della ribellione del 2011 come “consigliere” del CNT per diventare poi ufficialmente ambasciatore l’estate scorsa. Era a Bengasi per un incontro con l’Agoco-Arabian Gulf Oil Company, che ha sede proprio a Bengasi, ed è dipendente dal NOC , National Oil Company della Libia. Praticamente a ridosso della seduta del Congresso Nazionale che a Tripoli stava eleggendo il Primo Ministro, l’ambasciatore più amico della Libia si trovava altrove, impegnato a discutere di petrolio. Proprio come farebbe un incaricato d’affari. Spariti, infatti, dal “consolato” copie di documenti e contratti petroliferi.
Non sono stati resi noti fatti della sua vita privata che giustificassero la fuga di notizie su una visita che in teoria sarebbe dovuta essere segreta. Sarebbe una pista da seguire, dal momento che Stevens a Bengasi era praticamente di casa.
L’attacco all’edificio è avvenuto in due tempi, durando varie ore, e di Stevens si sono subito perse le tracce. La sua guardia del corpo ha perso contatto, i marines che hanno risposto al fuoco erano là in veste di contractors con compiti diversi dalla sicurezza dell’ambasciatore. Morente o già cadavere, è stato portato da ignoti all’ospedale; un video mostra questi “samaritani” che, nel migliore dei casi , erano ladri introdottisi per fare razzia e più intraprendenti della polizia e dell’esercito libico!
Secondo la CNN che ha rinvenuto 7 (?) pagine del suo diario, già da tempo Stevens era in allarme per la crescente importanza dei gruppi jiadisti in Cirenaica- un dato non nuovo , anzi risaputo si potrebbe dire. Lo stupefacente rinvenimento da parte dei reporter conferma l’incredibile: il sito devastato del “consolato” non era presidiato per preservarlo in vista delle debite investigazioni.
In Libia sono arrivati una cinquantina di marine, due navi si sono messe in rotta verso le coste libiche, ma i detective FBI sono arrivati solamente il 18 settembre, senza poter immediatamente raggiungere Bengasi a causa della situazione che persisteva turbolenta ed è sfociata nell’oceanica manifestazione “Save Benghazi”.
Mentre si rincorrevano le notizie, poche ore dopo l’assalto di Bengasi, a Tripoli in seconda votazione del Congresso Mustafa Abushagur vinceva con 96 voti su 190, battendo Mahmud Jibril, che era in testa nella prima votazione. Ci sono state chiacchiere sull’esattezza del conteggio, ma non hanno avuto seguito nella concitazione della giornata e nel caos dei giorni seguenti.
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E’ stato raccontato dai media che la manifestazione “Salva Bengasi” del 22 era pacifica e chiedeva la dissoluzione delle milizie armate, prendendo di mira soprattutto Ansar al Sharia, cui si era alluso come colpevole dell’attacco al consolato. Va detto che in realtà questa milizia era la più disciplinata e apprezzata dai bengasini per aver preso il controllo dell’ospedale e averlo reso agibile.
Risultò che dopo le prime ore di manifestazione osannante gli Usa e l’amico Stevens, donne e bambini sono stati mandati a casa e i manifestanti hanno attaccato sia le caserme di Ansar al Sharia che quelle di altre milizie. Nel corso degli scontri subito quattro morti, aumentati in seguito, e oltre cento i feriti.
Il Presidente del Congresso (non del paese, come invece i media e la stessa Hilary Clinton continuano a ripetere!) Muhammed Al Magarief sull’onda della sommossa ha dichiarato esservi milizie legittime, associate all’esercito, e altre no. Immediata la rissa: ogni milizia si proclama legittima, spesso forte del fatto che i suoi membri sono anche soldati dell’esercito nazionale.
La giornata del 25 è stata un susseguirsi di eventi.
Conflitti armati fra reparti dell’esercito. Un gruppo di manifestanti armati ha assalito l’hotel Rixos – sede del Congresso Nazionale a suon di migliaia di dinari cash- bloccando i lavori. Sono comparse sui muri scritte contro il neo Primo Ministro Mustafà Abushagur accusato di filo americanismo (!) per la sua doppia nazionalità.
Con scarso tempismo Abushagur ha annunciato ciò che è ormai abituale: una dilazione. La lista dei ministri che formeranno il governo di transizione, prevista per il 30 settembre, verrà presentata con dieci giorni di ritardo e … nessuno di quelli attualmente in carica si illuda di essere rinnovato. Voci rimbalzanti sui nomi dei nuovi ministri a volte sfiorano l’incredibile: Hakim BelHadj, il jiadista bocciato alle elezioni, ma tanto amico del Qatar e del capo, attualmente defilato, del CNT, Mustafà Jalil, come Ministro degli Interni.
Il 25 è stato anche il giorno del “martire” Omnar Shaaban, il freedom fighter plurintervistato che raccontava la vulgata Nato: aver catturato Mihammar Gheddafi nascosto, e ne sventolava la pistola. Non l’unico. Ricordiamo l’adolescente che alzava al cielo una “pistola d’oro” strappata al rais catturato. Ma Shaaban era di Misurata e la sua fantasiosa vicenda prendeva forza di verità grazie alla potente milizia cittadina.
Accadde a Shaban di essere colpito/catturato/torturato, tutte o una sola di queste possibilità non è dato capire, dalla milizia di Bani Walid. In gravi condizioni il ragazzo è stato inviato in Francia, ma le cure non sono bastate (??). E il giorno 25 il corpo del “martire” è tornato in Libia. Ora si è in sospeso per quella che potrebbe essere la vendetta di Misurata su Bani Walid.
Mahmoud Jibril tiene le prime pagine sfidando la glorificazione del “martire”, ripetendo che Muhamamr Gheddafi non è stato ucciso dai ribelli ma da una potenza straniera :
Joanne ♌ Leo @FromJoanne
#Jibril on #Dream2TV said #Gaddafi was killed by a Foreign International Intelligence agency 2 silence him forever ¬ by #Libya Fighters
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L’impressione che si ricava dagli eventi che si susseguono e contraddicono le semplificazioni dei media, è che sia in atto una guerra politica senza esclusione di colpi. Sfacciatamente dei commentatori libici in Twitter si chiedono l’un l’altro quale milizia abbia al suo fianco Mahmoud Jibril!
Il Congresso è nelle mani di 120 deputati ufficialmente “indipendenti”, ciascuno portatore di fedeltà alla sua città ( mentre si susseguono proteste per le differenze di fondi concessi a Tripoli e a Bengasi) e dei quali non è dato sapere quanti, pur non ufficialmente iscritti ai partiti islamici, abbiano simpatie per i Fratelli Musulmani o i Salafiti.
Una guerra politica che ha il petrolio al centro, e ciò non si dice, con gli interessi del Qatar, dei Sauditi, degli Usa e di tutti i paesi europei che hanno costituito l’infausta Coalizione Nato.
Non potevano i leader di questi paesi non sapere cosa sarebbe accaduto in Libia istigando una transizione violenta e sanguinaria. Proprio oggi è uscito un video in cui si vedono i “combattenti della libertà” strappare i denti dal cadavere (?) di Mutassin Gheddafi. Non si avvia una democrazia plaudendo alla tortura e all’esecuzione di quello che a tutti gli effetti doveva essere trattato come un prigioniero politico, ed è facile dire che il sangue di Muhammar Gheddafi e dei suoi figli sta ossessionando la Libia. E ciò chissà per quanto tempo.
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Da questo riassunto per sommi capi della sanguinosa pochade libica, rimando alla raccolta di articoli in inglese e in italiano che provvedo continuamente ad aggiornare. http://storify.com/mcc43_/libya e ai tweet che compaiono in questa pagina nella colonna di destra.
Segnalo in particolare questo articolo dell’esperto di aereonautica Davide Cenciotti nel sito The Aviationist che effettua un continuo monitoraggio delle forze aeree americane.
Un’evacuazione “semplice” , non-combattente, delle locali missioni diplomatiche sembra essere opzione meno probabile, la presenza di numerosi aerei americani in alcune basi strategiche del sud Europa e l’attività costante sembra suggerire che qualcosa di più grande potrebbe essere messo in atto: un attacco su obiettivi selezionati in Libia e, probabilmente, nel nord del Mali controllato da tre gruppi islamisti armati, tra cui Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI).