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L’11 settembre e la necessità di un nuovo Erasmo da Rotterdam.

Creato il 11 settembre 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

da FANPAGE, 11 settembre 2012

È impressionante che, nello stesso giorno, siamo chiamati a ricordare, riflettere, commuoverci, piangere su due degli eventi più bui e drammatici della nostra storia, ma, soprattutto, dell’Occidente. L’emozione è ancora più forte nel vedere le bandiere degli Stati Uniti d’America e del Cile entrambe listate a lutto nelle medesime ore. Al di là di ideologie, complottismi, paure e coincidenze, oggi la mente e il cuore sono sopraffatti dalla spietatezza degli uomini e dal silenzio della morte: il monito dovrebbe essere diretto alla costruzione di un mondo che tragga dalla memoria – storica e dell’anima – la strada per un nuovo futuro. Eppure, l’uomo continua a stupirsi se, puntualmente, in qualche modo, la Storia si ripete: allora, analogamente a quando un dejà vu si propone alla nostra coscienza, in quei momenti cerchiamo di convincerci che è solo un’illusione, niente di più, non un avvertimento, né una consapevolezza profonda. Continuare a vivere così, con queste strutture sociali, politiche ed economiche e questa circolazione diffusa dell’indifferenza e dell’interesse egoistico sulle reti globali, in persistente violazione – anche indiretta – della dignità di altri uomini, non è ormai più sostenibile. Basti considerare le dinamiche geopolitiche, con le quali evitiamo da anni il confronto, come se la sorte, che ci ha concesso di abitare sulla sponda più fortunata del mare culla dell’umanità, potesse essere sempre benigna: «Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi» (N. Machiavelli, Il Principe).

Così – è evidente – non è più possibile vivere. Certo, il mondo è ricolmo delle parole di Cassandra e Laocoonte, ma solo perché, nei nostri giorni, è più semplice ascoltare una profezia di sventura, lasciare che il brivido scorra lungo la schiena e berci sopra per dimenticare, piuttosto che soffermarci su affermazioni più ponderate e sottili. Paradossalmente, stiamo assistendo al business della sciagura, del vaticinio oscuro e horribile dictu, quasi la rappresentazione costante, quotidiana ed esagerata del male sia il miglior modo per esorcizzare l’intuizione dei rischi. Vorrei ci fosse, invece, un nuovo Erasmo da Rotterdam, che combattesse la disgregazione del mondo contemporaneo proprio con i toni cui ormai siamo abituati, perché «la vita umana, nel complesso, è solo un gioco, il gioco della follia» e soltanto dei folli possono condurre esistenze come le nostre.

L’11 settembre 1973, il mondo occidentale si rese conto di quale fosse il prezzo della pace in casa propria, di che cosa significasse spostare la Guerra Fredda verso gli scenari secondari, ossia in America Latina, Africa, Asia. All’epoca, la necessità storica e strategica era l’allentamento della pressione sui confini principali e l’occupazione di quante più caselle possibili della scacchiera: conosciamo tutti la teoria realista delle relazioni internazionali. Il blocco orientale faceva altrettanto, ma – siamo chiari – i dirigenti sovietici inviavano carri armati e ordinavano migliaia di brutalità senza dover sottostare al confronto con l’opinione pubblica. Il fatto che noi conosciamo ogni angheria delle potenze occidentali, ma restiamo all’oscuro di molti segreti del Cremlino è emblematico.

L’11 settembre 2001, il mondo intero perse 3mila persone e uno dei propri simboli architettonici ed economici. Il tutto in diretta televisiva, nell’ora di punta del mattino. Da allora, niente è più stato come prima. La libertà dell’uomo, giuridica e psicologica, ha subìto un duro colpo, l’atomizzazione dell’individuo ha ricevuto una spinta possente, il sistema internazionale è potenzialmente prossimo al collasso, sia esso un’implosione o un’esplosione.

Che cosa scegliamo per il futuro? Quali lacrime piangeremo l’11 settembre 2013? Lacrime di coccodrillo per una crisi economica in via di superamento, oppure lacrime amare per la prosecuzione della crisi? Da parte mia, sono convinto che non dobbiamo credere a chi suggerisce di appore solo qualche aggiustamento al modello, qualche cerotto sparso, per ricominciare più o meno come nel passato. Tuttavia, ho timore anche di chi predica la distruzione totale, l’abbattimento della struttura, i processi di piazza. Nel mio piccolo, ho una speranza: il ritorno alla consapevolezza. Vorrei che ognuno di noi divenisse consapevole del contesto nel quale vive, delle interrelazioni costanti e inevitabili che manteniamo anche con luoghi infinitamente distanti – il tessuto che indossiamo, il cibo che mangiamo, i componenti del computer che ci consentono di creare la rete globale –, cioè della nostra dimensione di esseri umani, con i nostri limiti fisici, psicologici e materiali. L’inconsapevolezza è uno dei maggiori nemici, poiché chi barcolla nel buio senza coscienza, non sa né di essere in cammino, né di essere in equilibrio precario, né di essere senza luce. Nemmeno saprà quando cadrà nel baratro.

In questo 11 settembre, uniamo il nostro ricordo e doniamolo a quanti sono caduti vittima dell’ingiustizia, del terrorismo, della brutalità.

Se uno tentasse di togliere la maschera agli attori mentre stanno recitando un dramma, e mostrare agli spettatori la loro vera faccia, quella con cui sono nati, costui non porterebbe scompiglio in tutta la scena tanto di meritare di essere cacciato a sassate dal teatro come un forsennato? Apparirebbe infatti improvvisamente un nuovo volto delle cose: chi prima era donna sarebbe ora uomo, chi prima giovane ora vecchio, chi poco prima era un re ora apparirebbe come un poveraccio, chi prima era un dio ora si rivelerebbe un omettino da niente. Smascherare quell’illusione equivarrebbe a privare di senso tutto lo spettacolo. È proprio quella finzione e quell’inganno che tiene avvinti gli occhi degli spettatori. Ebbene, che altro è la vita umana se non tutta una commedia, nella quale tutti recitano la loro parte chi con una maschera chi con un’altra, finché a un tratto il capocomico non li faccia uscire di scena? A volte però il capocomico fa recitare allo stesso attore parti diverse, e così quello che poco prima faceva la parte di un re ammantato di porpora, ora è un piccolo schiavo coperto di stracci. Sono tutte finzioni, ma questa commedia non si può recitare altrimenti (Erasmo da Rotterdam, “Elogio della follia“).

Beniamino Franceschini
L’11 settembre e la necessità di un nuovo Erasmo da Rotterdam.

La versione originale dell’articolo può essere letta qui: L’11 settembre e la necessità di un nuovo Erasmo da Rotterdam.



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