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L'Abete...seconda parte

Da Lory663
L'Abete...seconda parte“Che cosa fanno?” pensò l'albero. “Che succede?” Intanto le candele bruciarono fino ai rami, e man mano che si consumarono vennero spente. Poi i bambini ebbero il permesso di disfare l'albero. Gli si precipitarono contro con tale veemenza che l'albero sentì scricchiolare tutti i rami. Se non fosse stato fissato al soffitto con la stella dorata si sarebbe certamente rovesciato.
I bambini gli saltellavano intorno coi loro magnifici giocattoli. Nessuno guardò più l'albero, eccetto la vecchia bambinaia che curiosò tra le foglie per vedere se era stato dimenticato un fico secco o una mela.
«Una storia! Una storia!» gridarono i bambini trascinando un signore piccoletto ma robusto verso l'albero. Lui vi si sedette proprio sotto e disse: «Adesso siamo nel bosco, e anche l'albero farebbe bene a ascoltare! Comunque racconterò solo una storia. Volete quella di IvedeAvede o quella di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa?».
«Ivede-Avede!» gridarono alcuni; «Klumpe-Dumpe» gridarono altri. Fu un grido solo e solo l'albero se ne stette zitto a pensare: “Non posso partecipare anch'io? Non posso far più nulla?”. In realtà aveva già partecipato e fatto la parte che gli spettava.
L'uomo raccontò la storia di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa; i bambini batterono le mani e gridarono: «Racconta, racconta!». Volevano sentire anche quella di IvedeAvede, ma fu raccontata solo la storia di Klumpe-Dumpe. L'abete se ne stava zitto e pensieroso; gli uccelli del bosco non avevano mai raccontato storie del genere. Klumpe-Dumpe che cade dalle scale e sposa la principessa! Certo: è così che va il mondo! concluse l'albero, credendo
che tutto fosse vero, dato che era stato raccontato da un uomo così per bene. “Certo! Chi può mai saperlo? Forse cadrò anch'io dalle scale e sposerò una principessa!”. E si rallegrò al pensiero che il giorno dopo sarebbe stato decorato di nuovo con candele, giocattoli, e frutta dorata.
“Domani non tremerò!” pensò. “Voglio proprio godermi tutto quello splendore. Domani sentirò ancora la storia di Klumpe-Dumpe e forse anche quella di Ivede-Avede.”
L'albero restò fermo a pensare per tutta la notte.
Il mattino dopo entrarono il cameriere e la domestica.
«Adesso ricomincia la festa!” pensò l'albero; invece lo trascinarono fuori dalla stanza, su per le scale fino in soffitta e lo misero in un angolo buio dove non arrivava neanche un filo di luce. “Che significa!?” pensò l'albero. “Che cosa faccio qui? Che cosa posso ascoltare da qua?” Si appoggiò al muro e continuò a pensare. Di tempo ne aveva, passarono giorni e notti e nessuno venne lassù, quando finalmente comparve qualcuno, fu solo per posare delle casse in un angolo. L'albero era ormai nascosto, si poteva pensare che fosse stato dimenticato.
“Adesso è inverno là fuori!» pensò l'albero. “La terra è dura e coperta di neve. Gli uomini non potrebbero ripiantarmi, per questo devo rimanere al riparo fino a primavera. Che ottima idea! Come sono bravi gli uomini! Se solo qui non fosse così buio ed io non fossi così solo! Non c'è neppure una piccola lepre! Invece era proprio bello nel bosco quando c'era la neve e la lepre mi passava vicino. Sì, anche quando mi saltava sopra ma allora non mi piaceva. Qui invece c'è una solitudine terribile!”
«Pi! Pi!» esclamò un topolino proprio in quel momento e saltò fuori. Subito dopo ne uscì un altro. Fiutarono l'abete e si infilarono tra i rami.
«Fa un freddo tremendo!» dissero i topolini. «Se non fosse per questo freddo, si starebbe bene qui! Non è vero, vecchio abete?»
«Non sono affatto vecchio!» replicò l'abete. «Ce ne sono molti che sono più vecchi di me!»
«Da dove vieni?» gli chiesero i topolini «e che cosa sai?» Erano infatti terribilmente curiosi. «Raccontaci del posto più bello della terra! Ci sei stato? Sei stato nella dispensa dove c'è il formaggio sugli scaffali e i prosciutti pendono dai soffitto, dove si balla sulle candele di sego, dove si arriva magri e si esce grassi?»
«Non lo conosco!» rispose l'albero «ma conosco il bosco, dove splende il sole e dove gli uccelli cinguettano!» e così raccontò della sua gioventù, e i topolini non avevano mai sentito nulla di simile, così lo ascoltarono attentamente e poi dissero: «Oh! Tu hai visto molto! come sei stato felice!».
«Io?» esclamò l'abete, pensando a quello che raccontava. «Sì, in fondo sono stati bei tempi!» poi raccontò della sera di Natale, di quando era stato addobbato con dolci e candeline.
«Oh!» esclamarono i topolini «come sei stato felice, vecchio abete!»
«Non sono per niente vecchio!» rispose l'albero. «Sono venuto via dal bosco quest'inverno! Sono nell'età migliore, ho solo terminato la crescita!»
«Come racconti bene!» gli dissero i topolini, e la notte dopo ritornarono con altri quattro topolini che volevano sentire il racconto dell'albero; e quanto più raccontava, tanto più chiaramente si ricordava tutto e pensava: “Erano proprio bei tempi! Ma ritorneranno, ritorneranno! KlumpeDumpe cadde dalle scale e ebbe la principessa; forse anch'io ne sposerò una” e intanto pensava ad una piccola e graziosa betulla che cresceva nel bosco e che per l'abete era come una bella principessa.
«Chi è Klumpe-Dumpe?» chiesero i topolini, e l'abete raccontò tutta la storia; ricordava ogni parola e i topolini erano pronti a saltare in cima all'albero per il divertimento. La notte successiva vennero molti più topi e la domenica giunsero persino due ratti; ma dissero che la storia non era divertente e questo rattristò i topolini che pure, da allora, la trovarono meno divertente.
«Lei conosce solo questa storia?» chiesero i ratti.
«Solo questa!» rispose l'albero «la sentii durante la serata più felice della mia vita, ma in quel momento non capii quanto era felice.»
«È una storia veramente brutta! Non ne conosce qualcuna sulla carne e sulle candele di sego? O sulla dispensa?»
«No!» rispose l'albero.
«Ah, allora grazie!» dissero i ratti e si ritirarono.
Anche i topolini alla fine scomparvero e allora l'albero sospirò: «Era molto bello quando si sedevano intorno a me, quei vispi topolini, e ascoltavano i miei racconti. Adesso è finito anche questo! Ma devo ricordarmi di divertirmi, quando uscirò di qui!».
Che successe invece? Ah, sì! Una mattina presto giunse della gente a rovistare in soffitta. La casse vennero spostate e l'albero fu tirato fuori, lo gettarono senza alcuna cura sul pavimento e subito un cameriere lo trascinò verso le scale dove arrivava la luce del sole.
“Ora ricomincia la vita!” pensò l'albero, che sentì l'aria fresca e il primo raggio di sole. E così si ritrovò nel cortile. Tutto accadde così in fretta che l'albero non si accorse neppure del suo aspetto; c'era tanto da vedere tutt'intorno. Il cortile confinava con un giardino che era tutto fiorito, le rose pendevano fresche e profumate dalla bassa ringhiera, i tigli erano fioriti e le rondini volavano lì intorno e dicevano: «Kvirre-virre-vit, è arrivato mio marito!» ma non si riferivano all'abete.
«Adesso voglio vivere!» gridò lui pieno di gioia e allargò i rami, oh! erano tutti gialli e appassiti; e lui si trovava in un angolo tra ortiche e erbacce; ma la stella di carta dorata era ancora al suo posto e brillava al sole.
Nel cortile stavano giocando alcuni di quegli allegri bambini che a Natale avevano ballato intorno all'albero e ne erano stati tanto felici. Uno dei più piccoli corse a strappare la stella d'oro dall'albero.
«Guarda cosa c'è ancora su questo vecchio e brutto albero di Natale!» disse, e cominciò a pestare i rami che scricchiolarono sotto i suoi stivaletti.
L'albero guardò quegli splendidi fiori e quella freschezza del giardino, poi guardò se stesso e desiderò di essere rimasto in quell'angolo buio della soffitta. Pensò alla sua gioventù passata nel bosco, alla divertente notte di Natale, e ai topolini che erano così felici di aver sentito la storia di Klumpe-Dumpe.
«Finito! finito!» esclamò il povero albero. «Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo! finito! finito!»
Il cameriere sopraggiunse e tagliò l'albero in piccoli pezzi e ne fece un fascio. Come bruciò bene sotto il grande paiolo; sospirava profondamente e ogni sospiro sembrava una piccola esplosione; attratti da quegli scoppi, i bambini che stavano giocando accorsero e si misero davanti al fuoco e, guardandolo, gridarono: «Pif-pof!», ma a ogni crepitio, che era per lui un sospiro profondo, l'albero ripensava a un giorno d'estate nel bosco, a una notte d'inverno quando le stelle brillavano nel cielo, alla notte di Natale e a Klumpe-Dumpe, l'unica storia che aveva sentito e che sapeva raccontare. E intanto si era consumato tutto.
I bambini ripresero a giocare nel cortile e il più piccolo si era messo al petto la stella dorata che l'albero aveva portato nella serata più felice della sua vita; ora questa era finita, e anche l'albero era finito, e così anche la storia: finita, finita, come tutte le storie.
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