“L’Abisso e la luce del mondo,
La pena del tempo e il desiderio di eternità,
Visione, avvenimento e poesia:
Era ed è colloquio con Te.”
Martin Buber
Riporto questa breve, profonda e intensa prosa poetica del poeta e scrittore tedesco Martin Buber per introdurre una raccolta di poesie direi particolare per i significati e i significanti, per il contenuto e la parola, per i sensi nascosti e palesi, per ciò che dice e per ciò che non dice. Il titolo è L’ABISSO E’ ALLE PORTE. L’autore è Beda. L’Abisso, immensità dell’Universo e dell’ignoto; l’Abisso, sintesi incomprensibile di luce e tenebra; l’Abisso, tempo dell’inizio e della fine, struggente anelito di eternità; l’Abisso, vuoto pauroso o nulla angosciante, incontro col mistero e vicinanza a Dio. Forte e insieme sottile è il senso di solitudine, il percepire il dolore proprio e altrui, il rapportarsi al mondo, all’essere e alla realtà in questa poetica permeata di pessimismo, un pessimismo quasi globale segno dei tempi, voce di un tempo che non lascia più niente all’umano e alle sue sfaccettature più sublimi e più vere. L’autore sembra soffrirne per la sua sensibilità piuttosto spiccata, talvolta non capire e non accettare le brutalità, le bassezze e le brutture di un mondo in rapido cambiamento e in continua evoluzione all’interno del quale il Male, purtroppo, assume spesso aspetti devastanti. I versi di Beda si trasformano allora in urlo lacerante: urlo di rivolta, memoria vaga di rivoluzioni passate che hanno cambiato la Storia e i destini dell’uomo. La Poesia in lui diventa strumento, prassi, quasi un’arma a doppio taglio: ferisce perché rende consapevoli eppure sgombra la via dal marciume e dalla desolazione che l’uomo ha voluto accumulare, distruggendo lentamente una Natura meravigliosa, un pianeta forse unico e raro in quanto a bellezza. Il pessimismo di Enrico Beda è un pessimismo particolare, generale, cosmico? A mio modesto parere, è di sicuro un pessimismo lecito e giustificato. Però, che non si fraintenda mai la parola “pessimismo” pensando al suo significato e al suo valore prettamente negativi quali portatori di tristezza, di metanoia e di assenza di voglia di vivere. Anche il famoso “pessimismo cosmico” di Giacomo Leopardi, pur essendo presente in ogni cosa come “spirito animatore dell’essere e della vita”, lascia pur sempre aperto uno spiraglio nuovo alla speranza e a un qualcosa di superiore che va oltre lo spazio e il tempo e sta al di sopra di ogni umana congettura. Nella poesia NON ODO RISPOSTA NEL VENTO quando tutto sembra essere perso e inutile ecco che dall’Abisso scaturisce quasi una debole luce: “(…)Ti persi come persi l’inchiostro, / per porre la parola fine a lei, / che ancora mi duole dentro. / Assenza che punge, coraggio che latita e muore, / mi senti Dio? Mi senti Buddha? / Passeggio solo con me stesso, / non odo risposta nel vento, / solo cenere di camini fumanti.” Il sollecitare accorato di una risposta al dio cristiano o al dio di una concezione orientale della divinità, o comunque a quel senso sempre informe e sconosciuto del Divino in sé è già superamento ancora inconscio del pessimismo latente in ogni cosa e un volgersi timido alla speranza e alla vita, perché il vento e la cenere sono, in realtà, preludio di rinascita. O anche nei versi della poesia IL BISOGNO DI PARLARCI: “(…) La solitudine nostra, / è un bisogno di parlarci, / al caldo chiarore di un camino / che fischietta e sembra ascoltarci. / Semplice ma vispa, / lei mi duole forte, / e non riesco; / l’ascolto rasserenato. / Ora intravedo / tra lussuriosi fili d’erba, / astri sparsi di viola e bianco; / è lei, si è travestita. / E’ immutabile, / ma sempre lei.” Il bisogno reciproco di vicinanza, di dialogo vuole come annullare la solitudine al calore delle fiamme di un fuoco amico e familiare, che forse, oltre a rischiarare e a rasserenare, ascolta le voci umane e si fa testimone di presenze umane. L’erba, i colori viola e bianco, l’immagine dell’altro(in questo caso una lei)non possono che rimandare ad un affermarsi di levità e di ludico mostrarsi. Quando l’Abisso è frustrazione, alienazione, dolore, morte, sorta di baratro che sommerge e inghiotte tanto da percepire la propria esistenza prigioniera, implorazione muta, richiesta di aiuto silenziosa da dietro sbarre di acciaio il riuscire ancora a prendere in mano una penna e a scrivere in versi, a far diventare poesia tutto quel che si prova e si descrive e si denuncia può salvare sè stessi e il mondo… una salvezza sofferta ma che distrugge o quantomeno allontana l’Abisso ormai alle porte.
Francesca Rita Rombolà