… sulla malinconia accusata
del vento dell’Est, spietato tagliapelle
troppo penetrante per i tuoi gusti,
poco accogliente
nel suo gioco inutile del nascondiglio
E’ nel titolo che si presenta il leitmotiv che porta in vita il libro di Natalia Bondarenko, l’impulso autobiografico, quel necessario confidarsi per non lasciare che la propria esistenza passi senza rivelarsi agli altri; e gli altri sono quei confidenti distratti da conquistare con la propria “mappa dei punti sensibili”, esponendosi pura e trasparente, nella radicale convinzione che “non è facile esprimersi con due parole sole”, e in se la traslazione di un’esperienza femminile dove “festeggiare la gloria del nulla” è già comunque esistere.
Dentro un labor limae esistenziale, che sceglie la sequenza, con una vera e propria trama temporale e spaziale, resa in liriche di libera metrica, anzi di “non” metrica, assolutamente libere di raccontare in presa diretta, non prosa ma verso lungo, vers libre. Luoghi e personaggi, preposizioni semplici ed articolate e presente indicativo: io sono,/io ho/ io non so/ io amo/ per il conto degli anni e delle confidenze e infiniti semplici per coniugare i desideri “Stare nel mio cortile, \volare sempre basso,\ ingrassare per bene \per essere cucinata nel giorno del (suo) ringraziamento. Volevo essere anch’io tutta sua\con un anello sulla zampa\ pieno di dediche\per sempre“. E il territorio è la nostalgia che si muove fra la parte russa che occupa la geografia dell’anima e quella italiana che è la parte nomade più che esule. “E le finestre ad Est, chi sa perché\terrò sempre aperte” l’autrice è segnata dalla nostalgia della Russia e la stende in tutto il racconto in versi. Ma in relazione a quest’ultimo elemento, dobbiamo svelare il tranello dell’esergo e dei riferimenti alla sua autrice “mito”: la poetessa Marina Cvetaeva così citata non è da mettere in relazione affatto (appunto se non per amore e per esergo e citazioni), il vere libre della Bondarenko con la Cvetaeva dai lunghi respiri intarsiati di spirito e terra, ma tanto più calzante è il continuo racconto in prima persona, dividendo in frammenti ogni ricordo, cercando dialoghi involontari ma necessari con Dio, svelando l’esilio imposto dalla maternità, che avvicina questa raccolta alle inquietudini della scrittura di Elena Švarc, in una linea continua dove le confidenze sono necessarie “non per placare la mia sete\ ma per soddisfare la mia anima”(E. Švarc)
Nel conto degli anni di Confidenze Confidenziali c’è la ricerca dell’amore. Amore materno per la bambina dalla madre sola e del padre a bere, amore filiare per quel “povero cristo di mio figlio \ mai nato da un grembo poco accogliente” e di tutti gli uomini in cui ci si possa specchiarsi per ritrovarsi amata, perché l’amore è “la matematica elementare” per sommare la vita con la felicità. Bello, bello davvero, davvero vero. E tutto arriva e si perde quotidianamente. La Russia è nella cipolla continuamente mangiata e nell’eredità di un vecchio impermeabile della nonna, l’Italia è nella solitudine delle case troppo vuote (ma da quando sono diventate così vuote le nostre case? la domanda è della redattrice non della poetessa) o nella maleducazione del leghista imbolsito nel verde della sua cravatta. E nella tenacia della resistenza è la forza vitale che la poesia traduce con improvvisi spruzzi di ironia che fanno sobbalzare e sorridere dopo il caos del dolore. Tenacia femminile che non concede nulla a nessuno, visto che il primo bisturi ha tranciato le illusioni e dato alla vita secolare la carne nuda. Ed anche altro “lasciamo stare i soliti discorsi da saccenti\ che non sono le coccarde a farci meritevoli“: qui versifica l’erede del Club delle Estranee di Virgina Woolf e allora, quando racconta “Credo, per fare una specie di conta\ degli anni non vissuti insieme\ dei figli non concepiti\del mucchio di chissà cosa\ però sai, di questo “chissà cosa”\ penserò al ritorno” la confidenza ormai si è instaurata e il tono è davvero amichevole quando il lettore passerà oltre la pagina e chiederà confidenzialmente all’autrice : “Ma alla fine, l’hai trovato o no l’amore?”.
Natalia Bondarenko, nata 31 maggio 1961 a Kiev, Ucraina (ex Unione Sovietica).
Nel 1990 si trasferisce in Italia. Attualmente Natalia Bondarenko vive e lavora come artista in Friuli, dove partecipa a numerose mostre personali, collettive e manifestazioni fieristiche nazionali ed internazionali.
Scrive da sempre nella sua lingua madre, in particolare ha scritto sceneggiature per spettacoli universitari, poesie e racconti. Ha tradotto in italiano opere poetiche e narrative di autori russi e ucraini. Direttamente in lingua italiana scrive solo da pochi anni riscuotendo un notevole successo.
da Confidenze Confidenziali
***
Ed era l’inizio della fine. La fine aveva il suo inizio.
Il dollaro maestosamente scalava la vetta
(uno per cinque
uno per dieci
uno per venti)
Il dollaro si prendeva con comodo la sua vittoria netta.
Celentano non usciva fuori dai suoi 33 giri,
i polacchi trafficavano con i jeans e la valuta,
la mia amica andò in galera
per aver rivenduto un paio di orecchini di plastica,
i primi ricchi facevano più poveri gli altri.
Ed era l’inizio della fine. La fine aveva il suo inizio.
Le campane hanno ripreso a suonare.
***
Senza amore
boccheggio come un pesce fuor d’acqua
sbatto la coda sul tagliere per protesta
con l’occhio ben lucido, ancora per poco
che finisce
per chiedere pietà ad un coltello appeso al muro.
Avessi i piedi – andrei a cercarlo.
(l’amore … intendo)
anche sui carboni ardenti della griglia pronta
che più degli altri mi capisce.
***
Mi spingi senza volerlo
verso il confine senza sbarramenti
sulla strada dove i sensi di marcia
prendono la forma del nodo di Windsor,
verso l’uscio della casa con il campanello rotto,
verso la pronuncia giusta del soggiorno
con i mobili e i cuscini di una vecchia tristezza,
verso la parola “pettinata” e
il rumoreggiare del petto nel silenzio
sempre, senza volerlo
mi insegni a parlare poco, ad amare meno,
a leggere fra le righe la cronaca peggiore della vita,
a fare i conti con l’incoscienza del giorno,
ad aprire il cuore, a sbattere la porta,
a stringere coi denti le lenzuola e
a spezzare l’ordine di posizionamento dei corpi,
a contare le pecore, le voci dei gatti, i polsi,
insomma, mi insegni la matematica elementare
fino all’alba.