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l’abolizione delle province non metterà fine al provincialismo

Creato il 03 dicembre 2013 da Plus1gmt

Ma dai, che combinazione. Anche io ero vivo quel giorno lì. Grazie per la puntualizzazione, e la differenza è che per te quel due luglio è stato un paio di giorni prima del giorno dell’Indipendenza ed eri nei dintorni di San Francisco, per me è stato la festa della Madonna delle Grazie con i falò votivi sulle colline, la fiera con i prodotti agricoli e l’albero della cuccagna in piazza e l’orchestra con il ballo al palchetto. Un piccolo equivoco che però dimostra come nei grandi Paesi – con la p maiuscola, appunto – ci si possa permettere di parlare di cose infinitesimali perché parte di un mondo che nel nostro provincialismo appare incommensurabile, talmente complesso da afferrare nell’insieme che poi un albero, una siepe tagliata a forma di chissà quale animale esotico o un pezzo di costa pacifica – nel senso dell’oceano – acquisiscono una loro dignità.

Se lo fai in stati piccoli e chiusi in sé corri il rischio di separatismo narrativo e il particolare non si fa generale ma diventa una porzione indipendente in cui si conoscono tutti e fanno lo struscio nei pomeriggi prevestivi in zone identificate per convenzione come aree aggregative. E non è nemmeno la vecchia storia del marketing territoriale, quel fenomeno per cui appena valichi il confine con la Francia anche il peggio rudere è indicato con gigantografie sull’autostrada mentre quando vai per le arterie della nostra penisola ti saltano agli occhi solo le gru o i trattori o le piscine prefabbricate messe in bella mostra lungo i rettilinei per attirare acquirenti in transito.

Quindi, non so come tu abbia trascorso la tua, di festa. Noi quell’anno lì – come tutti gli altri e, ne sono certo, ancora adesso – abbiamo fatto notte aspettando che si esaurisse tutto il fuoco del falò alimentato dal fieno, dalle sterpaglie, dai copertoni e da altro ciarpame sicuramente tossico e bagnato di benzina sottratta alle falciatrici a motore, nessuno ha dimenticato che si viveva ignari nell’amianto allo stesso modo in cui la filosofia slow food non era ancora stata inventata.

C’era però un aspetto ricco di significati. L’incendio è la sciagura più ostile per chi abita le campagne, come tutto ciò che è da tenere alla larga risulta tentacolare. Trovate una fiamma accesa e strepitante e intorno si raduneranno bambini per mettere alla prova il tanto decantato potere di un elemento così dirompente, e questo a ogni latitudine, anche nei paesi più caldi. In campagna il fascino è duplice. Il fuoco che si espande è un pericolo per le persone ma anche per le bestie e per le risorse che danno da mangiare. Tenerlo sotto controllo è come avere un leone in gabbia e star fuori a fargli le pernacchie. Ora non ricordo bene, ma di sicuro a un certo punto qualcuno giù in paese avrà suonato le campane, l’inizio del giorno del santo patrono è ufficialmente al via anche se è ancora notte. Tutti i fuochi piano piano si attenuano fino a spegnersi sulle colline tutto intorno e i ragazzi e le ragazze, con le loro motociclette da fuoristrada, vanno a festeggiare altrove e a modo loro, lasciando soli i bambini intenti a cercare tizzoni ancora accesi mentre gli adulti e i vecchi si spazientiscono per portarli a dormire.



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