Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è stato un periodo nel quale ci si accontentava di fare paragoni al posto di opposizione: dicevi qualcosa della Fornero e subito saltava su qualcuno che ti apostrofava: mica rimpiangerai la Gelmini. Ti lagnavi di Monti ed ecco che ti rintuzzavano: sarà pur sempre meglio del Cavaliere, no?
Adesso possiamo consolarci, al governo ci sono i peggioristi guidati dal leader che meglio può rappresentarli coronando l’opera del suo padrino, realizzando con i suoi sogni i nostri incubi.
Mentre veniva abilmente alimentato lo scandalo per l’assenteismo cialtrone, allegoria del desiderato funerale della pubblica amministrazione e della definitivamente criminalizzazione dei parassiti più esemplari e detestati in forma bi partisan, insieme agli odiati garantiti e gli immeritevoli pensionati, tutti variamente accusati di disfattismo, slealtà e diserzione, il capo del governo andava a godersi la settimana bianca con i suoi cari. È la loro meritocrazia in fondo. Ha lavorato per distruggere il lavoro, si è adoperato per salvare in extremis il condannato e gli aspiranti tali per evasione e frode, ha concluso un semestre di presidenza Ue all’insegna dell’assoggettamento da autentico kapò: se la merita una vacanza, scegliendo una località esclusiva, lo sport che nella sua forma intensiva più degli altri ha contribuito alla devastazione di montagne e paesaggio, secondo la miglior tradizione dei cinepanettoni, proprio come piace a Cipollino, a De Sica Jr e a tutti i provinciali colpiti da una fortuna ingiusta, come di solito è la fortuna, soprattutto se è condita da ambizione sfrenata, arrivismo disinvolto, egocentrismo patologico.
Non so a voi ma a me non ha turbato il volo di Stato, non mi ha sorpreso la discolpa spaccona. Mi indigna proprio la “vacanza”, sfrontatamente rivendicata come il diritto di un padre e un marito che si gode le feste con la sua famigliola, mentre le altre hanno speso la tredicesima, se ne erano stati beneficati, in imposte inique, seguendo l’originale moderna tradizione delle feste, in litigi perché la nuova povertà reca con sé ostilità, rancore, inimicizia rompendo vincoli ancestrali e antichi patti tra generazione e d’amore.
Si è proprio il peggio: il suo partner nell’unico patto che regge alla crisi, anzi se ne approvvigiona, bene o male doveva fare i conti con il consenso elettorale e se ne preoccupava illudendo il ceto medio di poter imitare le sue vacanze, di poter accedere ai suoi agi e perché no? ai suoi lussi e ai suoi vizi, prendendolo a modello, mutuando la sua sregolatezza, persuadendo che se ce l’aveva fatta lui, se era arrivato lui, anche altri mediocri, altri senza particolari qualità potevano farcela, convincendo che era quella la necessaria mutazione del dinamismo meneghino, dell’imprenditorialità del lumbard, capace di aggirare leggi, ostacoli e comandamenti.
Lui no. La sua energia viene dissipata in slogan, annunci, bugie, spesi soprattutto per propagandare le sue riforme riguardanti qualcosa che non ha mai conosciuto: lavoro, istruzione, beni culturali, legalità, territorio, partecipazione democratica, e che non lo interessa se non per i benefici che può trarne la sua permanenza al potere.
E in più, lui che fa vergognare della povertà chi ne è affetto, come una malattia o una colpa che merita una punizione, non si vergogna del privilegio usurpato, come lo è sempre il privilegio. Lo rivendica e lo ostenta. E cambia il detto caro al suo patron: non lavoro, non guadagno, ma spendo i vostri soldi e pretendo.