A volte la condizione di stilita (che qualcuno sembra attribuirmi) è scomoda non tanto per la necessità di rimanere in precario equilibrio su un colonna, quanto perché lontano dal chiacchiericcio di sotto, di quel brulicare quotidiano di opinioni e spesso solo di nulla, si scopre l’acqua calda. O meglio quelle cose che quando qualcuno ha il coraggio di salire per portare qualche fico al disgraziato asceta, vede e considera come scontate. Così oggi vi parlerò di acqua calda e di come il boiler della politica, delle istituzioni, del Paese sembri rotto e produca acqua gelida anche quando parrebbe, come ad esempio nelle primarie, che l’atmosfera sia rovente.
In realtà se veniste sopra la colonna, al riparo dal maledetto rumore di fondo dove prima le lucciole facevano da lanterne politiche o ora i fiaschi non vengono nemmeno presi a fischi, tutto appare molto più chiaro. Chiaro, ma ahimè insensato, come una lucida follia di cui si possono conoscere le cause, ma non gli effetti. Un anno e mezzo fa, nonostante il suo chiaro fallimento in Grecia, in Irlanda e altrove il Paese si è fatto trascinare dentro la logica del debito, innescata e infiammata da un’Europa matrigna nella quale i Paesi ricchi non volevano in alcun modo fare sacrifici per compensare il divario tra le bilance commerciali che si era determinato a causa dell’Euro. Una santa alleanza fra questi egoismi, le visioni politiche dei circoli della finanza volti a ridurre la democrazia e gli interessi di una classe dirigente locale di straordinaria mediocrità e non più interessata agli investimenti produttivi, ha portato a firmare la galera finanziaria per 50 milioni di italiani (i rimanenti dieci fungono da secondini).
L’ipotesi di pessima scuola sulla quale si sono costruite le ricette di valore universale e universalmente fallite era che per diminuire il debito pubblico occorreva distruggere il welfare, creare le condizioni per far calare i salari, ovvero eliminare conquiste e diritti del lavoro, rendere impossibile una qualche politica sociale attraverso i meccanismi di sottrazione di sovranità finanziaria col fiscal compact, il Mes e il pareggio di bilancio in Costituzione. L’impoverimento del Paese, secondo astrazioni accademiche delle peggiori e più banali avrebbe poi favorito la crescita. Non c’è bisogno di dire come queste misure abbiano necessariamente colpito i ceti più deboli creando una straordinaria diseguaglianza e un pericolo per la democrazia stessa.
Era ed è del tutto evidente che l’insieme di questa filosofia d’azione, accettata da una politica giunta ai suoi minimi termini attraverso l’appoggio a un “governatore” dalle frequentazioni ambigue quando non apertamente reazionarie, era una semplice, totale stupidaggine per il semplice fatto che:
1) i salari italiani erano già tra i più bassi dell’area Ocse ,
2) che il welfare ossia la spesa sociale era già tra le minori d’Europa e in termini reali al quart’ultimo posto, considerando che nei Paesi Scandinavi parte della spesa sociale avviene sulla fiscalità generale
3) che le disuguaglianze sociali erano tra le più alte
4) che al posto della flessibilità si era instaurato un regime di precariato diffuso.
(Cliccare sui diagrammi per ingrandirli)
Se tutto questo servisse davvero a ridurre il debito pubblico e ad aumentare la competitività, l’Italia avrebbe avuto straordinarie perfomances nell’ultimo quindicennio, mentre com’è noto la sua crescita è stata di molto inferiore alla media europea e con un debito pubblico enorme.
Altri erano e sono i problemi: la corruzione diffusa, l’inefficienza, un patto sociale distorto che sfocia nell’evasione generalizzata e infine una moneta unica che non consente più recuperi di competitività monetaria. Tutavia pensare di risolvere la situazione non toccando le cause, ma accanendosi ancora di più contro i cittadini, castigando il mercato interno e colpendo le fasce popolari, operando per la svendita dei beni pubblici, cercando persino risparmi sulla scuola già tra le più povere del mondo (diagramma a fine pagina) invece che su inutili spese militari e grandi opere probabilmente già tangentizzate o prelude a un disegno oligarchico e di sfascio delle democrazia o a un ricovero per alzheimer galoppante per tutti quelli che si sono prestati a questa opera, commissari europei compresi che di certo sono il peggio in tutto i sensi di ciò che il continente può offrire.
Ed ecco perché in cima alla colonna il baccano che viene dalla contesa delle primarie appare patetico, servile, ridicolo chiuso com’è dentro gli slogan, l’impotenza e i retropensieri di potere. Niente che abbia a che fare con la sinistra ancor meno di quanto abbia a che fare con la buona politica. Forse davanti al televisore i contendenti sembrano dire qualcosa, ma dalla colonna si avvertono solo i lamenti di un’agonia: quella delle speranze e di un Paese.