I Basiliani - fonte quotidiano della Basilicata
La tradizione, ci racconta che San Vitale, monaco di rito greco proveniente giunto ai piedi del monte Raparo, nei pressi dell'attuale San Chirico Raparo, tra il 980 e il 986, abitò in una grotta e costruì il convento di S. Michele Arcangelo. Più tardi i monaci vi costruirono sopra la Basilica. La grotta ricca di stalattiti e stalagmiti, con numerose gallerie e vasche, è bagnata dalla fonte "Trigella" (dal Lat. Trigelida=molto fredda);Alla fonte è legata la leggenda della Ninfa Ripenia che, per sfuggire al faunoCrapipede, si rifugiò nelle vasche della Trigella. Il fauno per vendicarsi fece prosciugare la sorgente e rese l'acqua non potabile.
Da una articolo del Quotidiano della Basilicata di F. Gresia
La storia del fiume Trigella fra racconti della tradizione e ricerche degli storici nei secoliIl freddo scorrere delle acque leggereAcque gelide e misteriose nelle quali il mito tende la mano alla scienza e alle sue spiegazioni.
Avvolta in un territorio angustio e verde, capace al principio di impaurire lo sprovveduto alla ricerca del fiume misterioso, la Trigella si nasconde allo sguardo dei curiosi nei mesi invernali per poi rinascere a primavera. Scherzo del destino o vittima dell'incantesimo del fauno, è difficile ascoltare il suo suono nei mesi invernali. Le piogge alimentano i rigagnoli che scorrono a valle, tutto è avvolto in una coltre di nebbia, ma di lei non si ode il suono, lei non scorre sulla terra come un'indifferente passante, lei, la Trigella è parte di questa terra, trae origine dal suo cuore pulsante, sgorga dai meandri più nascosti del suo cuore, e viene a portare rinfresco a chi non può fare a meno di assaggiarla.
E' con la primavera che si risveglia il suo canto d'amore, è nei primi mesi del tiepido tepore che, mentre la natura si sveglia del sonno invernale, porgendo l'orecchio la si sente scorrere sempre più forte, il suo cuore pulsante interrompe il silenzio che la circonda, lo rende vivo, fino a riaffiorare a galla.
Un fascino senza tempo, forse quello dell'amore misterioso, reso speciale dal suo essere riservato, così come scrive Emilio Magaldi nel lontano 1932: “Scendendo dal ponte della provinciale, per un ripido sentiero, al torrente della Trigella- nome che vorrebbe dire la gelidissima- e seguendo a ritrovo il corso del fiumicello rumoroso e spumeggiante, si arriva ad un punto al di là del quale il letto del torrente non reca la benché minima traccia di acqua”. Le linfe della Trigella spariscono nel nulla, forse perché catturate ed imprigionate nei versi di Pontano e nel mito amoroso della ninfa Rupenia e del fauno, ben narrate nel poema Meteore.
Esametri che delle gelide acque della Trigella narrano di un amore non corrisposto, della sofferenza di chi innamorato veniva schernito, e della voglia di punire la fonte delle sue pene. Un giorno stanco di tanto soffrire, il fauno vedendo la ninfa schernirlo “al riparo delle gelide spumose onde del torrente, allontanò il gregge
dalla fonte, deciso a non ricondurvelo mai più e mandò terribile maledizione”.
Nessuna bestia avrebbe dovuto avvicinarsi alla Trigella, chiunque lo avesse fatto: “non vedrà parti né prole, ed ogni volta che avrà gustato dell'acqua se ne partirà coi fianchi addolorati”.
E fu così che le vene della fonte si seccarono, le sue braccia scomparvero per tutto l'inverno per ricomparire solo a primavera.
Perché come traduce Paolino Durante nel 1833: “Quando poi declina rapido il
sole, e l'anno fugge, allora cerch'indarno nel fonte umore o brina.
Dirai meravigliando: Ov'è la chiara onda d'argento della mia Trigella? Perchè
con lei natura è fatta avara? E accuserai la sua maligna stella”.
Forse solo una leggenda, forse un semplice fenomeno carsico di intermittenze,
eppure il lento sgorgare della Trigella non perde il suo carattere magico, quello capace di far sognare il Pontano. Non abbandona quell'atmosfera misteriosa che la rende ricercata agli occhi degli increduli, non permette al passante di trascurarla, perché con le sue note è capace di richiamare la sua attenzione su un angolo particolare della Lucania, quello che aveva affascinato i monacibasiliani, regalandogli tranquillità e sicurezza.