Non so bene cosa mi aspettassi da uno scritto di Daria Bignardi, forse potevo avere un’idea del soggetto e degli argomenti, ma non delle forma e del metodo da lei utilizzato per esprimerli e svilupparli.
L’autrice non rientra tra i miei personaggi preferiti in senso lato e per l’idea che mi ero fatto temevo di incappare in una classica storia romantica dove più o meno tutti soffrono per amore e ciascuno tiene per sé i propri sentimenti o comunque una cosa del genere.
Ho deciso di affrontare questa lettura dunque più per curiosità che per vero interesse e anche questa volta l’ho fatto completamente al buio, spinto anche dalla partecipazione della Bignardi alla trasmissione “Il cacciatore di libri” di Radio24 dello scorso 24 novembre.
Una lettura al buio in quanto l’ascolto della presentazione del libro è stata rimandata a lettura ultimata, per cui è il caso di passare al libro.
La prima parte della storia mi ha lasciato piuttosto freddo.
Niente di particolare se non un altro incontro fatale voluto dal destino come si è già visto più volte; un’altra coppia che si lascia in età adolescenziale per poi ritrovarsi grazie a combinazioni casuali.
Un altro fenomeno di Sliding doors insomma.
Cose già viste e sentite che mi stavano facendo un po’ pentire della scelta del libro.
Poi accade un qualcosa che cambia le carte in tavola e da quel momento in poi la lettura diventa più stimolante e appassionante.
Niente di originale si potrebbe dire, ma in questo caso affrontato in maniera particolare.
Entrando nel merito e rimanendo in ambito cinematografico, dopo l’avvenimento principale, la storia assume i contorni di Kramer contro Kramer con il protagonista anche in questo caso nei panni del padre.
La Bignardi crea un protagonista maschile e lo fa parlare in prima persona.
Questa cosa rischia di farla cadere in tutta una serie di luoghi comuni che lei però riesce a gestire bene e a girare a proprio vantaggio.
Infatti è proprio grazie a questo modo di raccontare la storia che la Bignardi riesce a rappresentare i problemi delle persone tra le persone.
Le relazioni tra le persone con un certo grado di intimità sono tra gli argomenti più problematici del nostro tempo e la personalizzazione di molti aspetti rende spesso le cose più gravi e difficili da risolvere di quanto lo fossero in un primo momento.
Mi rendo conto di essere stato alquanto oscuro in questo ragionamento e cerco di spiegarmi meglio facendo riferimento al romanzo:
quando Sara improvvisamente se ne va lasciando Arno e i tre figli da soli poco prima del Natale, la mente è andata immediatamente al film con Dustin Hoffman e Meryl Streep.
Dopo poche pagine però ecco che già si nota la differenza: il racconto di Arno è più sofisticato e più intimo.
L’acustica perfetta è un ottimo esempio per fare il confronto tra libro e film; facendo il parallelo con Kramer contro Kramer è evidente come il film possa risultare più drammatico ed immediato grazie a suoni, immagini e scenografia, mentre il libro sia più coinvolgente per la sua profondità e per il racconto interiore dei personaggi.
In poche parole nel film si vede la vicenda dal punto di vista del vicino di casa e nel libro la si vive dall’interno della casa stessa, per cui il dibattito meglio il libro o meglio il film mi ha sempre coinvolto poco, essendo per me due cose ben distinte.
Chiudendo la parentesi e tornando ad Arno, ecco apparire fin dai primi momenti il suo dibattito interiore, il suo rimuginare, ciò che in fondo crea i veri problemi tra le persone.
Arno impiega ben poco tempo a trasformare la delusione e la paura per l’abbandono di Sara in un motivo di risentimento nei suoi confronti.
Quasi immediatamente tra i suoi pensieri prende forza la rabbia per essere stato abbandonato pochi giorni prima del Natale, come se in un altro momento la cosa potesse risultare più accettabile.
In poche parole si può dire che tendiamo a personalizzare quasi ogni cosa a partire dal comportamento degli altri, quasi come se gli altri prendessero le loro decisioni basandosi su di noi e non su loro stessi.
Questo modo di reagire agli eventi esterni, ormai purtroppo sempre più diffuso, non fa altro che spostare l’attenzione dal vero punto centrale verso se stessi.
L’esempio di Arno è eloquente; ben presto smette di pensare ai motivi che possono aver portato una madre a lasciare marito e soprattutto i suoi tre bambini, e concentra l’avvenimento verso se stesso, come se la decisione di Sara fosse stata presa per fare un dispetto a lui, per metterlo in difficoltà, per creargli problemi.
Dunque quale modo migliore per creare difficoltà ad un marito che poco sa del funzionamento di una casa e delle abitudini dei bambini, se non abbandonarlo improvvisamente e lasciarlo solo appena prima del Natale, cioè proprio nel periodo in cui assieme alla mamma i bambini predispongono tutti i preparativi per le feste?
Un ottimo momento per mettere in crisi un padre, non c’è che dire.
Vedendo le cose da un altro punto di vista però, bisogna dire che gli stessi motivi valgono anche per chi abbandona, per chi prende la decisione di andarsene.
E allora ragionando in maniera non personale, la prima cosa che dovrebbe venire in mente è che una madre che abbandona i figli proprio prima del Natale deve avere motivi ben più validi del voler fare un dispetto al marito.
Troppo facile e troppo semplicistico pensare che le persone si muovano e prendano le loro decisioni per fare dispetto agli altri; per carità, ci sarà sicuramente qualche caso del genere, ma pensare che gli altri decidano sempre guardando verso di noi significa darsi troppa importanza, credere troppo in se stessi, in una parola sopravvalutarsi.
In questo libro la Bignardi fa un ottimo lavoro perché espone molto bene questo aspetto.
L’atteggiamento di rabbia di Arno tutte le volte che ragiona sulla partenza di Sara “proprio per Natale” oppure quando pensa al viaggio di nozze quando Sara mi raccontò di sua madre e io mi arrabbiai perché mi aveva mentito, ma non riuscii a dirglielo e feci finta di niente. Ora capisco di aver sbagliato quella sera. Avrei dovuto dire che non tolleravo l’idea che avesse potuto mentirmi, costituisce il peccato originale dei nostri tempi: semplificare le cose invece che approfondirle.
Perché è vero, caro Arno, che quella volta hai sbagliato, ma non hai sbagliato nel non dirlo, hai proprio sbagliato la sostanza: lo sbaglio è nel non capire come mai quella cosa su sua madre non te l’aveva detta prima o non era riuscita a dirla prima; invece tu parli del mentire e non hai capito nulla.
Spesso ciò avviene un maniera colpevole perché approfondirle significa anche mettersi in gioco e ripensare ai propri comportamenti.
Ecco, in questo libro Daria Bignardi è stata brava a fare questo, a mettere dentro una storia come altre, quel qualcosa che può rendere un libro diverso dall’altro pur raccontando sostanzialmente la stessa vicenda.
Una vicenda che con il passare delle pagine si svela poco per volta facendo apparire lati nascosti e portando alla luce segreti mai svelati.
Un romanzo psicologico che lascia il lettore soddisfatto.
Tempo di lettura: 4h 20m