L’addio delle parole

Creato il 17 maggio 2012 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

La triade televisiva dedicata alle parole finisce con l’ultima serata e con il successo d’ascolto e di critica del La7 e del duo Fazio-Saviano.  Nell’attesa che si verifichi il detto: non  c’è due senza tre, confermiamo che il programma Quello che (non) ho”,  in diretta dalle Officine Grandi Riparazioni di Torino  è stata una scommessa riuscita dentro ad una rete coraggiosa, che ha voluto mettere il dito in questa Italia triste e poco speranzosa. E il bilanciamento di tono tra l’uno e l’altro, alla luce dei temi trattati, è molto duro, a partire dalle parole di Pierpaolo Pasolini, che in un’intervista di oltre 35 anni fa esegue un’analisi accuratissima e spietata della società consumista italiana.

La somma di questo festival delle parole passa attraverso i concetti di  dignità, rispetto, libertà, futuro, lavoro e polveri d’amianto che è il fulcro del monologo di Saviano. Le polveri di amianto dell’Eternit , fabbrica di Casale Monferrato,  che produceva manufatti di cemento e amianto, eterni e indistruttibili. Quello che non si sapeva era che le polveri sono dannose e che lavorare all’Eternit voleva dire ammalarsi di aspestosi fibroma del tessuto polmonare e di mesotelioma pleurico. Polveri nocive, letali, dentro una fabbrica che garantiva un lavoro, un futuro. Polveri che galleggiavano nell’aria e che entravano addosso. Tanta polvere, troppa. Fabbrica senza precauzioni. E poi piano piano  il dubbio, cominciano le morti e subentra la paura. La fabbrica non protegge, le morti si susseguono, tante morti, e l’Eternit diventa una fabbrica di morte. L’Eternit è responsabile della sparizione di una fetta dell’umanità, scomparsa lavorando. La Spoon River dei morti d’amianto. Si alza l’urlo della scienza, una perizia che rivela tassi enormi di polveri. Scoppia lo scandalo, la battaglia, l’inchiesta, il processo, la giustizia. 

Il processo vede sul banco degli imputati gli ex vertici della multinazionale, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 61 anni, e il barone belga Jean Louis De Cartier, 88 anni. Dopo 66 udienze,  la giustizia sulla polvere bianca come sabbia, stesa su tutte le cose diventa morte dolosa. I due devono rispondere di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure. Tra ammalati e deceduti ci sono 2.889 parti lese: tutti lavoratori. E la multinazionale delle vittime deve risarcire le morti provocate da un veleno nato dalla volontà di ricchezza. Casale Monferrato diventa  il simbolo della lotta. La lotta dei lavoratori farà da battistrada per avviare un serio, organico programma di bonifiche? “Questa sentenza deve essere qualcosa di più, deve creare una super procura, contro gli infortuni sul lavoro”.

Marco Paolini dedica la parola “treno” ai ferrovieri che stanno protestando da mesi a Milano contro il taglio dei convogli, mentre Lucianina termina il suo appuntamento al grido di Basta! Stop, fine, capolinea, basta all’ipocrisia in tv, basta parcheggiare nelle zone dei disabili quando non lo si è, o lo si è almeno nel cervello… basta al bunga-bunga perché logora chi c’è l’ha…ma soprattutto basta, sapersi accontentare!

Massimo Gramellini porta la parola “paghetta”. I soldi dei contribuenti italiani sarebebro stati impiegati per dare la paghetta ai figli di Bossi. 5000€ al mese, poveri figli, che infanzia devono aver avuto: giocavano con Calderoli, non studiavano, tanto da grandi sarebbero diventati come papà, la paghetta la mettevano tutta nel porcellinium…piccoli figli della Padania che chiedevano di pagare, con la paghetta,  i lavori di carrozzeria, le multe, le rate dell’assicurazione…eh si, che il termine paghetta  indica una retribuzione scarsa e modesta, ma, quello è il termine adatto alla pensione! 5000€ è una piccola somma, modesta?

Eppure questa piccola somma, al Trota l’abbiamo pagata noi! Meditiamo gente, meditiamo. Nella scenografia suggestiva  delle Officine Grandi Riparazioni di Torino è andato in onda un riscatto perfetto del fare tv e non come troppo facilmente  si potrebbe accusare la trasmissione di populismo o demagogia. Il tempo trascorso davanti a questo racconto televisivo è stato  un viaggio nel mondo delle parole e una riflessione sul loro valore evocativo, dunque un bel modo di stare davanti alla tv.


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