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L' addora d'a pummarola

Creato il 23 settembre 2015 da Vidi

Ieri a pranzo, mangiando l'ennesimo sugo al sapore di plastica, mi è tornato in mente, in bocca e nel naso l'odore d'e pummarole p'e bottigghie che anni fa invadeva corti, cortili e condomìni. Tra agosto e settembre ogni famiglia diventava una piccola industria conserviera. 
Si incominciava con la scelta; ognuno aveva il suo fornitore di pomodori di fiducia, ma si faceva comunque un'indagine di mercato precedente  perché, come diceva mia madre,: 'E' proprio chi tieni 'e fiducia che ti mbrogghia'.
Una volta comprate le casse con il quantitativo giusto di pomodori, siL' addora d'a pummarola toglievano a dint’‘e cascette e si stendevano per terra su appositi teli a completare la maturazione per altri due o tre giorni.
Dopo i 3 giorni, si sceglievano una ad una, si toglieva l'eventuale streppone, ovverosia il picciolo,
venivano lavati, messi a sgocciolare e finalmente destinati alla produzione vera e propria, che era di due tipi: a pacche, ovverosia col frutto tagliato crudo a fette, o a passata. Raramente si facevano, qui da me, la conserva o i pelati.
Le pacche venivano infilate direttamente nelle bottiglie, e non con poca fatica perché ai tempi i boccacci col collo largo non si usavano, si preferiva le bottiglie tipo quelle di spumante col collo stretto. Per 'ngasare, cioè premere e schiacciare, le pacche e non lasciare spazi vuoti, si ricorreva alla pezza arravogliata, uno strofinaccio ben piegato, su cui si batteva con decisione ma non troppo la bottiglia, così da far uscire l'aria e compattare il contenuto.
L' addora d'a pummarolaLa passata invece richiedeva che il frutto, grossolanamente spezzato, venisse messo a bollire per almeno due ore così da asseccare perdendo l'acqua in eccesso. A questo punto veniva fatto raffreddare, poi si montava 'o passapummarola e si passava in due tempi, prima il frutto cotto poi le bucce. Solo a questo punto si imbottigliava e si rifiniva c'a fronna 'e masinicola,insomma la foglia di basilico.
E non era ancora finita. Dopo l'imbottigliatura c'era la chiusura delle bottiglie, che veniva fattaL' addora d'a pummarola coi sùviri, i sugheri, messi con un'apposita macchinetta in legno divisa in due parti; nella parte inferiore si inseriva il sughero oliato, indi si sovrapponeva l'altra parte della macchinetta che aveva una sorta di birillo sporgente sul quale si batteva col martello fino a far entrare 'o sùviro dint'o cuollo d'a boccia. Questa operazione doveva essere fatta con cura e attenzione per non
 rompere le bottiglie. I tappi per maggior sicurezza venivano poi legati con cappi di spago, che andavano fatti con maestria, e in genere questa fase era affidata all'esperienza degli anziani.
E finalmente si passava alla sterilizzazione delle bottiglie.
Su un trépite, il trepiede da focolare, si piazzava 'o cararo, in genere un fusto d'olio, in cui le bottiglie L' addora d'a pummarolavenivano poste con estrema cura, intervallandole con giornali (rigorosamente quotidiani: il settimanale schiattava 'e bottigghie)perché non si tozzassero rischiando così di rompersi. Si coprivano poi d'acqua e finalmente si accendeva il fuoco.
Dovevano bollire almeno due ore sòro sòro, cioè a bollore non alto ma costante. Nel caràro venivano messe delle grosse patate. Quando l'odore dei tuberi invadeva i cortili, si smetteva 'e votta' fuoco.
Detto così può sembrare semplice, ma essendo l'evento eccezionale, tutto diventava un'eccezione, a cominciare dall'orario d'inizio: mai più tardi delle sei di mattina, con le madri che ripetevano ad oltranza 'Facimmo ampressa ca sinò facimmo tardi'. Per ottimizzare i tempi ognuno aveva un compito specifico: chi sceglieva, chi lavava, chi tagliava, chi imbottigliava: una vera fabbrica a catena di montaggio.
E niente pranzo eh! Solo quando si era finito 'e votta' fuoco, un po' per sorvegliare 'o cararo ché i mariuoli so' capaci 'e s'arrobba' 'e bottigghie puro si l'acqua è ancora vollente, un po' per rilassarsi, finalmente si imbandiva una tavolata fino a tarda sera, quando 'o caràro ormai freddo si poteva scarreca'.
Una faticaccia, insomma, ma in un clima di collaborazione e anche di gioia, perché c'era sempre chi aveva un evento da narrare, chi una barzelletta, chi teneva 'no nciucio.
Sarà per questo che 'e pummarole 'e tanno, di allora, tenevano n'ato sapore.


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