URANIO FACILE E A “BASSO COSTO”. / AFRICA : NUOVA CORSA ALL’ACCAPARRAMENTO !
I cablogrammi delle ambasciate USA, quelli resi noti dallo scandalo Wikileaks,che tanto polverone ha suscitato sui “media”, hanno evidenziato, proprio ultimamente, il continuo e crescente sviluppo delle miniere di uranio in Africa.
E lo hanno fatto soffermandosi in particolare sugli standard di sicurezza, che laggiù sono decisamente inesistenti, sui centri di ricerca nucleare obsoleti e poi sulla corruzione, che consente il traffico illegale di materiale radioattivo, ovviamente molto pericoloso, in quanto trasportabile senza eccessivi controlli di routine da un continente ad un altro.
E questo pare si verifichi con una certa disinvoltura sia nella Repubblica Democratica del Congo che in Tanzania, quanto in Niger e in Burundi.
Gli americani allora lanciano, indifferentemente, accuse a società europee, cinesi, indiane e della Corea del Sud.
Infatti ciò che risulta essere inquietante, almeno per noi, è proprio che è notorio che i reattori nucleari europei utilizzano uranio proveniente dall’Africa.
I timori riguardanti la situazione in Congo, ad esempio, sono fondati in quanto è più che documentata, da rapporti di natura diplomatica, la presenza al “Kinshasa nuclear research centre (KREN-K) di due reattori già dimessi, rispettivamente uno negli anni’70 e l’altro negli anni ’90, così come ci sono in loco 138 barre di combustibile nucleare, 15 chilogrammi di uranio arricchito e non arricchito e 23 chilogrammi di scorie nucleari.
Ed è in questo luogo preciso che sono avvenuti, e purtroppo continuano ad avvenire, dei furti di materiale radioattivo.
Anche perché, manco a dirlo, l’accesso al sito è sempre stato privo di controllo alcuno.
Sia durante il giorno che nelle ore notturne.
Inoltre c’è da precisare che gli studenti dell’università di Kinshasa , sovente, per accorciare il tragitto e raggiungere la sede universitaria, lo attraversano.
E anche gli agricoltori di manioca, coloro che la coltivano esclusivamente per la propria sussistenza, hanno i campetti non lontano dal palazzo, dove sono state stoccate le scorie radioattive.
E già da qualche anno, in quei campi, un contatore Geiger aveva rivelato un’elevata presenza di radioattività.
Sempre nella Repubblica Democratica del Congo -è scritto nei cablogrammi- una compagnia belga, che opera in Congo dal 1915, la “ Malta Forest Company”, la maggiore responsabile di quanto avviene (anche perché la più ricca),estrae ed esporta illegalmente uranio, mischiandolo a rame e cobalto
.E utilizza funzionari corrotti per eludere i test sulle radiazioni, che sono invece obbligatori.
Non mancano nell’elenco anche altre due compagnie finlandesi con sede a Johannesburg, la Opolo Chemicals e la Konkola Chemicals, che utilizzano gli stessi sistemi e le stesse modalità dei belgi ma si producono e trovano terreno fertile in Namibia.
Alcuni operatori umanitari ,che lavorano da parecchi anni in Congo per l’ONU, non hanno alcuna difficoltà ad ammettere che, a loro avviso, la provincia del Katanga, ad esempio, presenta un alto livello di radioattività.
Ora in questo territorio, con una superficie di oltre 200mila kmq in più rispetto all’Italia, vivono stabilmente almeno 4 milioni di persone, senza contare tutti i rifugiati e gli sfollati, che giungono dall’interno, a causa della interminabile guerra civile in atto, e da tutti gli altri Paesi confinanti, spinti forzosamente dalle più svariate motivazioni.
E’ più che evidente il pericolo che questi uomini, queste donne, questi anziani e questi bambini corrono.
Di contro, anche con analisi certe, che evidenziano l’elevato livello di radioattività presente nella roccia, alcuni proprietari di miniere fingono di non sapere.
E continuano, in nome del profitto, a far lavorare i “nuovi” schiavi per un piatto di polenta di manioca al giorno ,quando e se questo c’è.
Altri imputati dell’accaparramento facile dell’uranio sono alcune società cinesi e coreane, che ormai proliferano e si espandono a macchia d’olio un po’ in tutta Africa..
Queste, ancora peggio, fanno lavorare gli operai senza alcuna benché minima forma di protezione dalle radiazioni.
Nemmeno apparente.
Infatti si parla di “cercatori artigianali”, un eufemismo che nasconde un terribile modus operandi.
Quello, in sostanza, che potrebbe definirsi, senza tema di smentita, se non dalla parte corrotta e corruttibile della società, un autentico crimine pianificato e voluto dalla “bestia” uomo.
E , sempre e solo, esclusivamente… in nome del “dio denaro”.
Altro che diritti umani e obiettivi del Millennio per l’Africa.
Marianna Micheluzzi (UKUNDIMANA)