di Mauro Carosio
In quasi tutta l’Africa Nord Occidentale la religione seguita da gran parte della popolazione è il Vudù (la trascrizione del termine varia a seconda della lingua). È la religione degli antenati e fa parte della cultura tradizionale della zona. Ha forme molto diverse così come diversi sono i rituali seguiti e non si tratta certo di magia nera come molti pensano sia. Il moderno Vudù è la derivazione di una delle religioni più antiche del mondo, presente in Africa da tempi remoti. Diffusa in varie aree già da prima delle colonizzazioni europee, la sua filosofia si è poi estesa nelle Americhe, in seguito alla tratta degli schiavi, durante il XVII e XVIII secolo. Ed è proprio in questo periodo che il Vudù viene formalizzato così come lo si può conoscere al giorno d’oggi. Nato dal compendio delle varie espressioni spirituali africane, il Vudù rappresentò per gli schiavi africani un mezzo per sentirsi parte di una comunità coesa e dotata di una propria cultura. Tuttavia dovette affrontare una dura lotta contro l’oppressione esercitata dalle chiese cristiane che combatterono strenuamente l’espressione religiosa africana, accusandola di barbara superstizione. Con le deportazioni di esseri umani nelle Americhe, il Vudù iniziò a diffondersi nelle isole caraibiche, e successivamente nell’America meridionale. Col tempo si incrociò con la religione Cattolica creando nuovi credi sincretici come il Candomblè in Brasile o la Santeria a Cuba. Nonostante le repressioni, il Vudù attirò un numero sempre maggiore di adepti, proprio grazie a quell’alone di proibito e misterioso che la sua condanna aveva originato. Oggigiorno sta godendo di una discreta diffusione negli Stati Uniti e nell’America meridionale: ad Haiti il riconoscimento ufficiale della religione vuduista, praticata da quasi tutta la popolazione, parallelamente al Cristianesimo, risale al 2003. In Africa occidentale, da cui questa religione ha avuto origine e dove oggi è in corso una sorta di riappropriazione delle appartenenze, in un piccolo stato come il Benin, il Vudù è riconosciuto come religione ufficiale dal 1996. È praticato da due terzi della popolazione e viene inoltre amministrato da una Chiesa organizzata.
Tentare di definire il Vudù in maniera comprensibile e con parametri delimitati dalla cultura occidentale è un’impresa non facile. Come spiega Alessandra Brivio, in uno dei pochi testi italiani sull’argomento (Il Vodu in Africa, metamorfosi di un culto), il termine stesso Vodu è polisemico. Vodu può assumere diversi significati in funzione del contesto e delle modalità di utilizzo: può indicare le singole entità invisibili che animano il sistema di credenze oppure quegli oggetti prodotti dall’uomo, i feticci, o elementi naturali abitati da tali entità. L’etimologia stessa del termine Vodu (Vodù o Vodoun) è controversa. Molto probabilmente ha origine dalla lingua Fon parlata nell’antico regno del Dahomey, oggi parte dell’attuale Benin, il cui significato è “Dio”, “spirito” o anche “feticcio”. Feticcio a sua volta deriva dal portoghese, dal verbo fazer (fare) usato per indicare un oggetto appunto “fatto”, costruito, per un determinato scopo che in genere ha a che fare col mondo invisibile. Il pantheon del Vudù è estremamente variegato e affascinante. Esiste un Dio supremo che regna sovrano, ma che non viene mai raffigurato né mostrato, un Dio non creato, ma creatore delle altre divinità. Tramite queste divinità minori, con cui l’uomo collabora e interagisce attraverso riti di varia natura (che comprendono cerimonie, danze o sedute di geomanzia), è possibile entrare in contatto col mondo invisibile e avere risposte sulle questioni che affliggono l’esistenza. Un ruolo fondamentale in questo processo viene svolto anche dagli spiriti degli antenati, la cui funzione principale è quella di proteggere i discendenti o intere tribù.
La ricchezza e la varietà di espressioni del Vudù si rispecchia anche nella molteplicità delle performance che coinvolgono gli adepti. Le manifestazioni rituali possono aver luogo in un tempio al chiuso, oppure all’aperto, in casa o su una piazza durante una festa di villaggio. Le danze sono l’espressione più teatrale del Vudù, in tale occasione esistono varie figure emblematiche: dal sacerdote officiante all’adepto che cade in trance e viene posseduto dallo spirito della divinità evocata in un contesto denso di significati misteriosi, incomprensibili a chi approccia in modo superficiale un universo così complesso. Le maschere, oggetti sacri e simulacri dello spirito richiamato, vengono indossate dall’adepto durante la danza per ricevere la forza ultraterrena a beneficio della comunità. I feticci, costituiti spesso da statuette antropomorfe, sono uno degli aspetti più materiali del culto, fabbricati dall’uomo e resi sacri a seguito di una sorta di benedizione imposta da un adepto preposto, possono avere varie funzioni: proteggono, influenzano e facilitano i contatti col mondo invisibile. Per lungo tempo i feticci vennero disprezzati e svalutati dai loro detrattori. Nel 1975 il presidente del Benin Kèrèkou, facendo proprie le istanze nazionalistiche e antimperialiste, ordinò l’eliminazione di tutte le pratiche definite allora “retrograde e oscurantiste” accusando i feticci e le cerimonie Vudù di essere nel contempo religione antiprogressista e stregoneria. Una domanda sorge spontanea: la religione Cattolica, che ha sempre proposto il culto delle immagini sacre ai fedeli, non ha proprio nulla a che fare con il contesto del feticismo? Il crocifisso stesso è un oggetto fabbricato dall’uomo e carico di significati: serve per benedire, per proteggere le case, le automobili, ma anche per cacciare il demonio. Stessa cosa vale per i sacrifici animali, altra pratica tipica e controversa del Vudù. Si legge che nel vecchio testamento Dio per salvare Isacco sacrificò un montone e “l’agnello sacrificale” è tutt’ora un simbolo molto forte del Cristianesimo e dell’Islam. Il problema forse è sempre lo stesso: quando si parla di cultura o di religione africana prevale una sorta di atavico pensiero evoluzionista che spinge a etichettare e classificare il “continente nero” e la mentalità dei suoi abitanti, come un mondo che deve ancora “evolversi” per raggiungere lo status imposto dai codici occidentali della modernità.
Tornando alla crociata di Kèrèkou, questa ebbe una storia breve. Dopo un paio di anni a seguito di una forte siccità che colpì il Benin e delle proteste della maggior parte della popolazione, l’antico culto fu riabilitato e riprese il suo corso costellato dalle mutazioni e dagli adattamenti che lo contraddistinguono. Da una breve ricerca sul campo nel cuore del Benin, effettuata durante una missione della Cooperativa Minerva di Genova nell’aprile del 2015, si evince che la religione degli antenati è viva più che mai e continua a ricevere il consenso della maggior parte dei beninesi. La convivenza con le altre religioni non è un problema per i vuduisti come nella miglior tradizione dei popoli animisti. L’accettazione di una nuova credenza religiosa non si contrappone ai loro principi. I fedeli di altre religioni sono accolti con le loro divinità talvolta inserite nel pantheon delle divinità locali. La geomanzia, il più antico sistema divinatorio nato in Persia, è una pratica inserita tra i riti Vudù e il geomante prescrive preghiere o offerte diverse a seconda del credo di chi lo consulta. Nei mercati dei villaggi più grandi non è raro vedere, tra i prodotti di artigianato locale, un fantasioso mix di oggetti provenienti dalle varie religioni: denti, code o piume di animali, necessari per la fabbricazione dei feticci affiancati alle immagini più popolari della religione cattolica: Papa Woitila, Sant’Antonio di Padova, croci di varia foggia, rosari cristiani e musulmani, poster raffiguranti La Mecca e persino immagini induiste giunte fino a là.
Anche l’aspetto esoterico del Vudù, sul quale hanno insistito in passato i più autorevoli studiosi, oggi dovrebbe essere rivisitato proprio in virtù della dinamicità tipica del Vudù stesso. Durante le numerose feste dedicate alla cultura tradizionale è facile imbattersi in adepti che accolgono senza reticenze qualche sparuto visitatore occidentale intavolando animate discussioni sulle diversità culturali e religiose. Etienne, un chirurgo di Cotonou, racconta che sia i cattolici sia i musulmani non rinunciano ad avvalersi delle pratiche tradizionali quando lo ritengono necessario. Il problema rimane per i religiosi istituzionalizzati che, trasgredendo al veto imposto dal credo del libro, fanno ricorso alle antiche tradizioni di nascosto e lontani dai luoghi dove svolgono il proprio operato. Ernest, guida turistica in Ghana, Togo e Benin, in un articolo pubblicato su Latitudesslife, spiega così il Vudù: “Tante persone hanno interpretato male il Vudù vedendo soltanto la parte negativa cioè che è per ammazzare la gente, per fare del male alla gente, per fare tutto quello che non è buono. In verità non è vero: il Vudù è una religione, una religione come tutte le altre. Crediamo insomma di poter essere aiutati per andare a raggiungere i nostri antenati. Come altra gente parla del Paradiso, per noi è un altro il mondo da raggiungere: è il mondo degli antenati.” Ernest dice anche di essersi convertito alla religione cristiana, ma di continuare a praticare i riti vudù per esaudire le sue richieste: salute, soldi, lavoro come prima di lui hanno fatto i suoi avi. Concluse le dolorose contingenze della schiavitù e del colonialismo, i rapporti tra le due fedi sono oggi migliorati anche se spesso si trovano in concorrenza per reclutare un maggior numero di “anime” africane.
Mauro Carosio
Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 23 – Giugno 2015.
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