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L’Africa è donna

Creato il 31 gennaio 2014 da Thefreak @TheFreak_ITA

Come molti che hanno avuto la fortuna di attraversare il continente nero, c’è un aspetto di questo paese che non si scorda facilmente, ed è quello delle sue donne. Una serie di donne forti e maestose, è questa l’immagine che sovrasta le altre a distanza di due anni dal viaggio in Ghana.

I primi giorni servono per abituarsi: il caldo soffocante, il cibo diverso – per usare un eufemismo –, la doccia a secchio, gli insetti infiniti. Quando si mettono a fuoco le persone e i loro volti si iniziano a vedere centinaia di donne, ogni giorno. Le donne africane non hanno una bellezza dirompente, immediata, effimera, provocante, in una sola parola occidentale. La loro è una bellezza ponderata, che ha bisogno di essere ammirata per poter essere capita fino in fondo. La donna africana è una grande lavoratrice, ogni giorno dall’alba al tramonto percorre chilometri a piedi, sotto il caldo infernale o la pioggia incessante. È inarrestabile e sembra che il suo ruolo di donna non possa essere completo senza accostarvi quello di madre. Il simbolo di questa medaglia dal duplice volto è una fascia con cui i bambini vengono legati alla schiena della loro madre. Da quando ha qualche settimana di vita fino a quando riuscirà a camminare, questo è il modo con cui i bambini sono portati. È una posa che ha una naturalezza unica, un incastro perfetto e una spontaneità che potrebbe far rivedere l’idea di carrozzine e passeggini cara all’Occidente. La donna africana porta spesso cesti sulla testa o a braccio, enormi e pesanti che non si riesce mai a capire come stiano in equilibrio. Ma loro ce la fanno. Camminano con un’andatura elegante e costante, mai troppo veloce per non perdere le forze, mai troppo piano per non perdere il ritmo. Percorrono chilometri e chilometri per raggiungere il mercato o la strada principale dove passeranno le loro giornate per cercare di vendere gomme, patatine, ananas, banane, accendini. Percorrendo quelle strade la contraddizione più evidente si specchia nei volti degli uomini, appollaiati nei dintorni delle case o seduti ai margini della strada, schiacciati da un caldo feroce, spettatori silenziosi delle fatiche femminili. La struttura patriarcale in Africa è più un dogma che un fatto reale, gli uomini, se girano, lo fanno in branco, altrimenti aspettano i guadagni di mogli, figlie, nipoti. Dall’esterno non traspare potere né sfruttamento, ma solo un forte senso di impotenza per non essere riusciti a dominare questa società. I giornali, la politica e la patina patriarcale che avvolgono l’Africa possono trarre in inganno, ma la realtà si srotola senza fare sconti e i personaggi protagonisti sono sempre le donne. Hanno una dignità profonda a prescindere dallo scenario che le circonda, dalla pioggia violenta che fa traballare i cesti e i bambini che pendono dai loro corpi o da sguardi che vorrebbero solo possedere quei corpi. Non si lasciano intimorire, mai. Sono sempre vestite di colori sgargianti, il nero si usa solo e soltanto per i funerali. Indossano questi abiti meravigliosi e scomodi che costituiscono una parte irrinunciabile della loro femminilità.

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Ogni mattina percorrendo la strada dal villaggio all’orfanotrofio c’era un’immagine ricorrente. Una donna molto giovane con due bambini, uno legato dietro – in quell’incastro assolutamente perfetto – con una fascia gialla e nera che lascia intravedere solo la testa e le braccia a penzoloni e l’altro che tiene per mano, dagli enormi occhi neri un po’ svogliati, persi nel caos quotidiano. Porta un enorme cesto di frutta sulla testa e un abito verde e corallo. Fa la stessa strada che faccio io, tutte le mattine, e, uscita dalla zona del suo villaggio, si ferma vicino alla banca e lì passa tutta la giornata. La vedo nel tardo pomeriggio quando il sole, unico elemento in grado di scandire le giornate, si sta abbassando. È bellissima e la guardano in molti, non un sospiro di fatica, non un cenno di stanchezza. Le donne africane non mollano mai.

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Di Guendalina Anzolin


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