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L'africano senza nome e la sigaretta /Storia di Irene oggi Beata

Creato il 23 maggio 2015 da Marianna06

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Ciò che contraddistingueva suor Irene Stefani, missionaria della Consolata in Kenya, e anche se per pochi anni pure in Tanzania, durante quelli che furono ovunque i terribili anni della prima guerra mondiale (1914-1918), era il suo sorriso.

Un sorriso, tratto distintivo e accogliente della sua persona, che lei aveva per tutti, cui faceva seguito sempre, a seconda delle circostanze, una parola di affetto e di consolazione.

Un sorriso spontaneo, a detta di chi l’affiancava, anche nei momenti più difficili e persino con le persone più riottose.

Tra le tante narrazioni di episodi di vita di missione, da parte di chi l’ha condivisa con lei ,c’è anche quella della sua prossimità affettuosa ad un africano con disturbi di carattere mentale.

Di solito era molto difficile stare e trattare con questa categoria di malati ma suor Irene non si tirava mai indietro nel momento in cui era richiesta la sua presenza e la sua assistenza. E questo contrariamente agli stessi infermieri di professione che, negli ospedali militari da campo,molto spesso si rifiutavano in quanto temevano terribilmente l’aggressività di questi ammalati.

Un giorno  suor Irene s’ imbatté per caso in un africano, un uomo di etnia Luo, che da tempo se ne stava in totale silenzio, da solo, e rifiutava il cibo.

Lo avvicina, come era suo solito fare, e cerca di parlargli. Ma l’uomo continua imperterrito nel suo mutismo. Come lei non ci fosse.

Irene prova a offrirgli del cibo ma anche in questo caso c’è rifiuto totale.

Allora prova a estrarre da un pacchetto,che poco prima gli aveva offerto un ufficiale, nell’ospedale militare dove si trovavano, una sigaretta e la porge all’uomo.

Altro deciso rifiuto.

Che fare?

 Illuminazione.

Suor Irene porta la stessa sigaretta alle sue labbra e l’accende e poi l’offre all’uomo silenzioso e assorto.

E questa volta la cosa funziona.

L’uomo prende la sigaretta offerta e l’aspira e poi pronuncia nella sua lingua alcune parole di ringraziamento.

Alcuni minuti dopo, spenta la sigaretta, accetta persino di mangiare. E suor Irene lo affianca e prova a parlare con lui.

Il dialogo riguarda la sfiducia nei confronti della vita, che l’uomo lamenta nelle condizioni in cui è e la paura della morte.

Ma suor Irene gli parla di un qualcosa di bello che lo attende, se solo lui lo vorrà, nel momento in cui la sua esistenza avrà termine. E come per lui così –aggiunge- lo è per tutti.

L’uomo l’ascolta mansueto come un agnellino e, allora, la nostra sorella inizia a raccontargli  di quel Gesù di Nazareth, figlio del Padre, venuto a salvare tutti, ma proprio tutti, con il suo sacrificio, dalla morte eterna.

Da quell’istante ,giorno dopo giorno, l’africano senza nome non smette più di seguire e ascoltare Irene e apprende da lei tutto quanto c’è da sapere per prepararsi al battesimo.

E quel giorno, con la meraviglia dei più, che quasi non credono ai loro stessi occhi, riceve felice finalmente il suo battesimo. Ed è proprio lei, suor Irene, a darglielo.

                       Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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