A poco più di un mese dalle elezioni, il presidente egiziano Muḥammad Morsi ha dimostrato di non essere una figura effimera, ma un protagonista politico del passaggio di potere nel paese. Nel frattempo Israele si prepara allo scontro, l’Iran si avvicina ai Fratelli Musulmani e la Striscia di Gaza è sempre più stretta nella morsa della fame.
L’agosto egiziano
La sera del 6 agosto cinque persone armate hanno provato ad entrare in Israele passando per il Sinai con un mezzo blindato, e nel tentativo sono rimaste uccise 16 guardie di confine egiziane. Israele ha risposto bombardando via aria il mezzo e colpendo a morte il gruppo armato; il valico di Rafah, unico collegamento con Gaza non controllato da Israele, è stato chiuso e l’Egitto ha risposto all’attacco colpendo il Sinai con le proprie forze aeree. Sono stati uccisi 25 militanti, ma soprattutto sono stati distrutti diversi tunnel che collegano la Striscia di Gaza al Sinai, già chiusi da qualche ora dagli stessi palestinesi. Pochi giorni dopo questi eventi drammatici il presidente egiziano ha rimpiazzato il direttore del Mukhābarāt, quello della guardia repubblicana e il governatore del Sinai del Nord. Il 14 agosto viene sostituita la maggior parte dei vertici militari, in particolare il ministro della difesa e capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate, il feldmaresciallo Hussein Tantawi, e i comandanti delle altre forze armate; Mahmoud Mekki, membro della Corte Costituzionale, diventa vicepresidente e viene anche emendato l’articolo 56 della dichiarazione costituzionale del 30 marzo 2011, permettendo al presidente di riappropriarsi dei poteri che il consiglio militare si era attribuito all’indomani delle elezioni.
Si tratta del più breve ma definitivo passaggio di potere dall’establishment militare – ancora legato al dominio di Ḥosnī Mubārak – al governo dei Fratelli Musulmani usciti vincitori dalle elezioni. Nonostante il presidente avesse sempre avuto il potere di abolire o modificare la costituzione militare – è il parere espresso da Gaber Nassar, docente di diritto costituzionale all’Università del Cairo, che si riferisce all’articolo 147 della costituzione egiziana del 1971, per cui il Presidente mantiene il potere legislativo in assenza del Parlamento – Morsi ha atteso il momento di maggiore debolezza dei militari, con l’appoggio politico degli Stati Uniti e quello economico del Qatar. Il sostegno statunitense è stato confermato pochi giorni fa dal portavoce del Pentagono, George Little, e in questa ottica vanno considerate le visite ufficiali del Segretario di Stato e del direttore della CIA il 31 luglio scorso, dove era stata richiesta esplicitamente una piena transizione democratica e definitiva. Mentre la borsa egiziana si riprende ancora dal brusco calo precedente le elezioni presidenziali di giugno, il 12 agosto Hamad bin Khalifa Al Thani, emiro del Qatar, ha garantito un prestito di 2 miliardi di dollari alla Banca Centrale d’Egitto, che dieci giorni dopo ne ha chiesti poco più del doppio, 4,8 miliardi, al Fondo Monetario Internazionale: il ministro delle finanze Montaz El-Said ha quindi aumentato la richiesta del suo predecessore, che aveva chiesto 3,2 miliardi di dollari. L’Emiro è tra i principali sostenitori dei Fratelli Musulmani, e la sua emittente al Jazeera è stata un veicolo di comunicazione fondamentale per la “primavera araba”, in particolare da Piazza Tahrir. Considerato un partner efficace dalle nazioni europee – dal Paris Saint Germain al marchio Valentino – altrettanta attenzione gli viene riservata dal governo del Cairo, e soprattutto dai Fratelli Musulmani: Khairat El-Shater, ai vertici del partito e candidato alle presidenziali prima di esserne escluso, si è spostato a febbraio nell’emirato per concordare nuovi investimenti, in particolare nel canale di Suez, e la stessa emittente televisiva trasmette i sermoni di Yūsuf al-Qaraḍāwiy, voce della Fratellanza.
Il Sinai senza legge
Ma la vicinanza con lo Stato d’Israele ha comportato anche diverse ragioni d’interesse economico. Il condotto che trasporta gas naturale da al-ʿArīsh, capoluogo del Sinai del Nord, verso Israele e la Giordania ha subito più di 15 sabotaggi e attentati dopo gli eventi di Piazza Tahrir: Eastern Mediterranean Gas, l’azienda che si occupa di acquistare il gas egiziano e rivenderlo, era di proprietà di Hussein Salem, industriale ispano-egiziano legato
Il confine sopra e sotto
Il valico di Rafah è l’unico che Israele non controlla direttamente dal 2005, quando si è ritirato dal territorio di Gaza. L’ex presidente Mubārak, che non ha mai apprezzato Ḥamās e la sua resistenza ideologica, ha continuamente limitato il passaggio: con la sua caduta nel luglio 2011 il valico è stato aperto al traffico pedonale, ma l’attacco dei giorni scorsi aveva portato a chiudere l’accesso (con una tregua di tre giorni per la festa di Eid ul-Fitr, l’interruzione del digiuno dopo la fine del Ramadan). Israele ha isolato l’intero territorio dopo la vittoria elettorale di Ḥamās nel 2007: ciò ha portato alla costruzione di migliaia di passaggi sotterranei di collegamento con l’Egitto, tramite i quali Gaza riesce a procurarsi le risorse energetiche essenziali. L’ufficio locale del United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs ha rilevato nel giugno di quest’anno un deficit energetico superiore al 60%, con pesanti ricadute su una popolazione locale di 1,6 milioni di persone: ad esempio 90 milioni di litri di scarichi fognari non trattati finiscono nel Mediterraneo, e la maggior parte degli ospedali riesce a funzionare solamente con il carburante fornito dalla Croce
Dall’altro lato del muro
Negli stessi giorni Avi Dichter, già direttore dello Shin Bet, è stato nominato ministro del Fronte Interno: nonostante provenga dal partito centrista Kadima, è tra i più favorevoli ad un attacco contro l’Iran, ed è considerato un passo in avanti verso il conflitto. Che il quotidiano Yediot Ahronot paventa possa attuarsi in autunno, quando gli scienziati iraniani avranno raggiunto una quota sensibile di arricchimento dell’uranio; in questo caso tuttavia le elezioni presidenziali del 6 novembre negli Stati Uniti potrebbero ostacolare una piena partecipazione statunitense all’attacco. Il governo di Netanyahu non ha particolarmente apprezzato la conferma della partecipazione del presidente Morsi al vertice dei non allineati il prossimo 30 agosto a Teherān. Oltre ad essere lo storico nemico del vicino israeliano, si tratta della prima visita di un capo di Stato egiziano in Iran dall’anno della rivoluzione islamica, il 1979, lo stesso anno della firma degli accordi di pace di Camp David. Un avvicinamento che segue quello già avvenuto all’ultimo incontro dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, con la proposta di una mediazione congiunta, insieme alla Turchia e all’Arabia Saudita, nei confronti della Siria, appena esclusa dall’organizzazione. Ad inizio agosto, in una visita al Cairo, il viceministro degli Esteri iraniano Bahrouz Kamlvandi ha anche proposto una rapporto diplomatico più stretto tra i due paesi.
Prossimamente
Oltre al giudizio di legittimità che la Corte dovrà esprimere sul partito Giustizia e Libertà nella prima metà di settembre, il governo egiziano ha dovuto prima affrontare venerdì 24 una manifestazione indetta dai nostalgici del presidente Mubarak. Con l’esautorazione del Consiglio Militare, il presidente si trova ora in mano gran parte del potere esecutivo e legislativo: la stessa costituzione attualmente in vigore non dà limiti al suo mandato. La commissione che sta lavorando alla nuova carta costituzionale dovrà presentare a breve un testo con cui andare ad elezioni entro l’inverno; in caso contrario Morsi potrà nominare una nuova commissione. Mentre il suo partito deve recuperare un profondo calo del consenso popolare, che alle elezioni presidenziali ha visto perdere più di 6 milioni di voti rispetto alle legislative.