All’unanimità la Camera preliminare della Corte penale internazionale (Cpi) ha confermato i capi d’accusa a carico di Bosco Ntaganda, capo militare delle Forze patriottiche per la liberazione del Congo (Fplc), attive in Ituri, nella Provincia Orientale, tra il 2002 e il 2003.
L’ex capo ribelle sarà processato all’Aia per 18 crimini di guerra – tra cui stupri, omicidi – e contro l’umanità. In base ai primi elementi di prova raccolti dagli investigatori, Ntaganda e i suoi uomini, alleati con l’Unione dei patrioti congolesi (Upc) di Thomas Lubanga, hanno sferrato “attacchi generalizzati e sistematici contro la popolazione civile, colpendo in particolare i gruppi etnici lendu, bira e nande”. I due episodi documentati sono stati commessi tra novembre e dicembre 2002 nella zona di Banyali-Kilo e nel febbraio 2003 in quella di Walendu-Djatsi.
Ntaganda è stato trasferito alla Cpi nel marzo 2013, dopo essersi arreso a Kigali, dove si era rifugiato nell’ambasciata statunitense. Prima di passare in Rwanda avrebbe combattuto nei ranghi di un’altra ribellione in Nord Kivu, quella del Movimento del 23 marzo, sconfitta dall’esercito congolese e dalla brigata di intervento dell’Onu lo scorso novembre.
Intanto dall’est della Repubblica democratica del Congo, ancora instabile, è giunta la conferma di una seconda fase di disarmo dei ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr). Ieri almeno 84 combattenti e 220 persone utilizzate dalle Fdlr si sono arresi a Kitogo, nel territorio di Mwenga, in Sud Kivu. La locale missione Onu (Monusco) è impegnata e procede al recupero delle armi.
Resta il fatto che troppe armi girano in tranquillità nel continente africano e armano la mano di un fratello contro l’ altro fratello.
Di contro i mercanti occidentali (e non solo loro) fanno affari d’oro. E tutto in nome del mercato che vive appunto di queste logiche.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)