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Siamo in una cittadina del Queensland nell'aperta campagna australiana e la famiglia O'Neal è felice finché il padre muore improvvisamente.
La madre Dawn e i suoi quattro figli cercano di reagire al meglio delle proprie possibilità e la più sperduta è proprio Dawn.Ognuno si isola nel suo dolore, ma sarà proprio la terza figlia, Simone di otto anni, a guidare gli altri anche se vista con sospetto. Infatti trova il conforto nell'albero del giardino, un splendido e maestoso fico (un Ficus macrophylla per essere precisi), convinta che l'anima del padre si sia "reincarnata" proprio in quell'albero.
E così ogni giorno gli parla, della scuola, della sua quotidianità e così è felice. Ha scelto di essere felice.
Ma qualcosa sembra voler intaccare questo rapporto: l'albero è immenso e le sue radici crescono a dismisura.Come andrà a finire?
L'elaborazione del lutto di una persona cara è sempre una cosa delicata da trattare e si rischia di andare nel pietismo, nella melassa inutile e zuccherosa, nell'esasperazione della tragedia.La regista di questo film, Julie Bertuccelli al suo secondo film, cerca di togliere strati invece di aggiungere e predilige lo sguardo di una bambina di 8 anni e con esso ci guida.Anche le reazioni degli altri figli sono contemplate.
Quando si è più piccoli è facile credere che l'anima di una persona possa rifugiarsi in qualcosa che la stessa vada a rifugiarsi in qualcosa che la persona morta ha amato.Quell'albero è lo stesso che ha visto la famiglia felice con diversi pic-nic.Senza saperlo, la bambina ha uno sguardo a tratti animistico (come dichiara lei stessa, deve stare in mezzo anche ai morti e non solo ai vivi), uno sguardo che è pari a molti bambini.A 8 anni si percepisce il mondo differentemente di quando si è adulti: tutto sembra avere una vita, un'anima.Ma spesso questo sguardo può diventare totalitaristico, ossessivo ed egocentrico.Comunque sembra che proprio i bambini siano molto spesso ad avere la bussola in situazioni dove molte volte gli adulti sono sperduti.
Tratto dal romanzo Our Father Who Art in The Tree (in italiano L'albero edito dalla Bompiani) della scrittrice e performer australiana Judy Pascoe e film di chiusura al Festival di Cannes 2010, vede un'ottima Charlotte Gainsborough come attrice famosa interpretando Dawn che significa "alba". Lei però è un'alba incerta se sorgere o no. O meglio un'alba che ha perso il suo stesso sole.
E sarà questa bambina dai capelli dorati, interpretata da una convinta Morgana Davies, ad indicarle la strada anche con determinata ostinazione.
L'albero è un film intimista che parla di come la natura può lenire le ferite, anche dell'anima. Seppure di breve durata (96 minuti circa), è un film che dilata il tempo.
Notevole la fotografia che ci mostra aspetti dell'albero, di quella natura che in Australia ha ancora il pieno possesso.
Inoltre una cosa notevole è che non ci si è lasciati trasportare dal mondo fantasy facendo apparire così il tutto completamente irreale.
Si è prediletto il realismo perché tanto a condurre verso il fantastico c'è la bambina.
Consigliato il film a chi decide di lasciarsi guidare, a vedere il mondo con gli occhi di un bambino.
Qui un'intervista (in italiano) della regista
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