“C’era una volta nel bosco un piccolo abete, che avrebbe dovuto essere molto contento della propria sorte: era bello, e in ottima posizione; aveva sole e aria quanta mai ne potesse desiderare, e amici più grandi di lui, pini ed abeti, che gli stavan d’attorno a tenergli compagnia. Ma egli non aveva che una smania sola: crescere”.
È in arrivo Natale, e siamo tutti alla ricerca di favole da raccontare ai più piccoli. Fra i classici, intramontabili, spicca “L’albero di Natale”, anche detto “L’abete”, di Hans Christian Andersen, che mi permetto di consigliare nell’edizione pubblicata da Rizzoli nel 2009, con traduzione di E. Dragoni e illustrazioni di Marc Boutavant. Si tratta di una delle fiabe più belle e commoventi dello scrittore danese Hans Christian Andersen (1805- 1875), celebre per opere quali “La principessa sul pisello”, “La sirenetta”, “Il soldatino di stagno”, “Il brutto anatroccolo” e “La piccola fiammiferaia”.
La storia è più che mai attuale, poiché trasmette dei valori “contemporanei”. Ai bambini il rispetto per gli esseri viventi e agli adulti la consapevolezza della loro incapacità di godersi il presente. Si avverte quella sensazione “velata” di essere spesso ancorati al passato e, al tempo stesso, proiettati verso il futuro, dove subentra la fusione fra nostalgia e rimpianto. L’albero di cui parla questa fiaba, infatti, vive nell’insoddisfazione di sé anche quando è all’apice della giovinezza. Egli affronta la sua crescita nella continua speranza di diventare imponente come gli alberi adulti che lo circondano, anelando di continuo al futuro e, a tratti, rimpiangendo il passato. Il termine di paragone diventa per lui una costante.
Pubblicata per la prima volta nel 1844, la fiaba narra, nello specifico, di un abete ansioso di crescere che non riesce mai ad apprezzare le piccole cose che gli capitano. Se solo fosse più grande, come gli altri alberi della foresta, gli uccelli costruirebbero nidi sui suoi rami, e la sua vita potrebbe considerarsi davvero “incominciata”. Il fatto di essere considerato “il piccolo della foresta” gli crea imbarazzo. Egli sogna di diventare legno per costruire grandi navi e solcare mari lontani; così come di arredare case lussuose, senza coscienza alcuna che questo significhi perdere la vita.
Fino a quando un giorno, il giovane albero viene tagliato e condotto in una casa dove, la vigilia di Natale viene addobbato con candele, mele colorate, giocattoli e caramelle. I bambini che vi abitano saccheggiano i doni dai suoi rami, e gli si siedono intorno ad ascoltare le favole degli adulti.
Il giorno seguente, l’albero si aspetta di rivivere quella stessa magica atmosfera, mentre invece viene spogliato e relegato in una soffitta buia. A lui si uniscono dei topolini, ai quali l’abete racconta la favola che ha udito quando era in casa, al centro dell’attenzione di tutti. Terminato il racconto, anche i topi lo lasciano solo. Con l’arrivo della bella stagione, l’albero che ha perso i suoi colori, viene portato in cortile. Un ragazzo prende la stella rimasta sulla sua cima, ultimo baluardo della vita che ha vissuto, mentre l’abete viene tagliato a pezzi e bruciato. La logica fine di un albero, di cui egli, purtroppo, non ha mai avuto consapevolezza.
A mano a mano che la storia si sviluppa, cresce la delusione dell’albero per la situazione contingente, mentre fa breccia in lui la nostalgia per gli eventi passati. Tale descrizione coincide col tipico atteggiamento dell’essere umano che, al di là del tempo e del luogo, si rende sempre conto di quello che possiede, soltanto dopo averlo perso.
Questa fiaba potrebbe rappresentare l’idea giusta da regalare ai più piccoli, permettendo loro di scoprire l’intensità che hanno le favole classiche. Sarebbe buona cosa se essi imparassero a gioire per le piccole cose; ad amare tutte le stagioni della vita. L’uomo è sempre insoddisfatto e alla ricerca di migliorare la sua esistenza, salvo poi riconoscere che, in fondo, qualcosa da salvare c’è sempre stato. Bastava solo guardare meglio.
Written by Cristina Biolcati