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L’alimento malsano del populismo

Da Maurizio Lorenzi

Oggi proponiamo la lettura di questo raffinato editoriale di Beppe Severgnini.

L’ALIMENTO MALSANO DEL POPULISMO

 Oltre il limite della decenza

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«Quando vedo il ministro Kyenge non posso non pensare a un orango». È incoraggiante sapere che il senatore Roberto Calderoli pensa, ogni tanto. Non abbastanza, però. Se riflettesse, l’inventore del Porcellum , nefasta legge elettorale, capirebbe che zoologia e politica non vanno d’accordo. Se s’informasse, e sapesse cosa dicono di lui e di noi nel mondo, il vicepresidente del Senato lascerebbe l’incarico e chiederebbe scusa. Non solo a Cécile Kyenge, ma agli italiani che rappresenta.

L’intervista al Corriere , ieri, ci presenta invece un uomo inconsapevole, che con ogni affermazione aggrava la propria posizione: «Amo gli animali. E poi il mio era un giudizio estetico, non politico». Non faccia l’ingenuo, il senatore Calderoli: non può non sapere che certi accostamenti fanno parte dell’arsenale dei razzisti. L’impressione è un’altra. Superato lo stupore per la reazione pubblica, il leader leghista ha capito che quell’uscita offensiva gli serve a riconquistare il centro della scena, dove la Lega ultimamente è transitata solo per litigi grotteschi, appropriazioni indebite e scandali in famiglia.

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Se questo sospetto fosse fondato, sarebbe grave. Significa che tutto vale, per alcuni personaggi e per certi movimenti, quando serve a raccattare qualche applauso e un po’ di consenso. La Lega non è sola, infatti, a scegliere questa strategia: altri, in questi mesi e anni, l’hanno utilizzata con cinismo. Il disagio della maggioranza degli italiani non conta; l’imbarazzo internazionale nemmeno. L’importante è eccitare le proprie truppe.

Chi lo conosce lo sa: Roberto Calderoli è tutt’altro che uno sprovveduto. Quella frase – come altre simili che l’hanno preceduta – rappresenta una sorta di istinto calcolato, comune ai populisti di tutto il mondo. Non importa se un’affermazione è volgare, aggressiva, imbarazzante. Basta che piaccia ai potenziali elettori.

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È un calcolo pericoloso. Perché le parole sono semi: chi li sparge non può disinteressarsi di cosa crescerà. Se i capi si permettono di paragonare una donna di colore a un orango, i seguaci si riterranno autorizzati a giudicare una persona per il colore della sua pelle. Si sentiranno giustificati quando la liquideranno con una battuta, la offenderanno con un paragone, la umilieranno con uno sguardo o un «tu» ingiustificato.

Leader viene da to lead, condurre. Chi comanda deve guidare, non seguire; consigliare, non assecondare; ispirare, non istigare. Non è fastidiosa «correttezza politica» quella che spinge i media di tutto il mondo, in queste ore, a riportare e deprecare la vicenda Calderoli. È la consapevolezza che tutti i faticosi passi avanti contro il razzismo rischiano di diventare inutili. L’Italia è un grande, generoso Paese europeo; non può ragionare come un piccolo, astioso retrobottega.

Ho ascoltato l’audio del comizio di Roberto Calderoli a Treviglio, pubblicato da Corriere.it: la frase non gli è sfuggita, era il terminale di un ragionamento. È grave che gli uomini politici – non solo leghisti – considerino i comizi una zona franca, dove l’eccesso e l’offesa servono per conquistarsi l’applauso. È un errore di giudizio pari a quello di chi considera Internet un posto senza regole. Comizi, piazze, blog e social network sono luoghi pubblici, dove occorre tenere comportamenti decenti. Perché il contrario di decenza è indecenza. Ne circola abbastanza, di questi tempi, per aggiungerne altra.

Tratto da www.corriere.it del 16 luglio 2013


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