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L'alito delle Streghe.

Creato il 29 novembre 2014 da Il Viaggiatore Ignorante
L'alito delle Streghe.E’ passato un anno da quella terribile notte.Ora sono qua, a guardare il fondo del bicchiere vuoto, mio unico compagno…Non mi è rimasto più nulla, dopo la morte del mio unico figlio maschio.Verso ancora del vino, svogliatamente accendo l’ultimo pezzo di toscano. Guardo la porta da dove l’ho visto uscire l’ultima volta, sano, giovane, forte.Mi disse che voleva andare alla filarìa di Inuggio, il paese vicino. Era normale per un giovane della sua età voler uscire la sera, magari per trovare la morosa, e quello era l’unico luogo dove si riunivano le donne per filare la lana e la canapa.
Anche sua madre glielo disse quella sera, mentre si preparava per uscire: 
“…và mìa a Inùii,a ghè l’aria tàbalòria”.
L’aria maligna, l’alito delle streghe.Lui sicuro e spavaldo, come tutti i giovani a quell’età, prese il suo fucile e, rassicurando la madre con un sorriso, le parlò della speranza che aveva di trovare la sua amata, e magari riuscire a farsi dare il suo fazzoletto ricamato.Diede un bacio sulla fronte alla madre, si voltò verso di me e alzando il mento, sorridendo, mi salutò: “Au daghi la bùna sèria pàri”, si mise il cappello e chiuse la porta alle sue spalle.Non avrei mai immaginato di vederlo entrare all’alba in quello stato!Mi dissero che andò alla filarìa e ci rimase tutta la sera, ridendo e scherzando con gli altri giovani, ma non si era accorto che tre donne lo stavano osservando in silenzio; troppo spavaldo il figlio del Tajòn, che aveva messo gli occhi sulla ragazza sbagliata, già promessa ad un uomo del paese.Finita la serata tutti si salutarono e in quel momento una delle tre donne parlò. Chiese al giovane se non avesse paura di tornare a Luzzogno da solo e nel cuore della notte, lui rispose che con il suo fucile non temeva niente e nessuno.S’incamminò, uscì dal piccolo abitato di Inuggio e prese la strada del bosco…cantava e la luce della luna piena rischiarava i suoi passi. Arrivato alla “poùsa di mòrt”(il masso dove venivano posate le bare durante l’ultimo viaggio verso il cimitero di Luzzogno) si vide sbarrata la strada da tre ombre scure; riconosceva a malapena delle sembianze femminili, sembravano fatte di fumo, nero come la pece, ma quel fumo era un muro impenetrabile, non riusciva ad oltrepassare le tre figure.Imbracciò il suo fucile e provò a sparare, nemmeno l’arma sembrava voler obbedire al comando della sua mano. Cominciò ad inveire contro le figure, mentre la paura prendeva il sopravvento.Le urla uscivano dalla sua bocca, ma il totale silenzio diventava sempre più pesante intorno a lui e il muro impalpabile non dava ancora la minima possibilità di proseguire il cammino, ogni suo passo veniva fermato.Gridò ancora “…o tùt càmp o tùt prà!” chiedeva il passaggio almeno verso i campi o per i prati verso l’alpe Ciàrei…nessuna risposta, nemmeno uno spiraglio.Cominciò a salire verso l’alpeggio, le figure erano sempre davanti a lui. Il cuore batteva forte, correva nella risalita, inciampando, rialzandosi, riprovando a sparare un colpo…la situazione non cambiava. Anche la risalita verso i primi casolari sembrava infinita, solo alle prime luci dell’alba riuscì a scorgere le prime mura famigliari; la nebulosa nera come comparve si dileguò, in un attimo l’aria del mattino era di nuovo tersa e limpida, ma lui non aveva più fiato in corpo; a stento riuscì a raggiungere la porta della sua baita. Stremato, con le gambe che non lo reggevano più, entrò quasi a carponi da quella porta, i suoi capelli erano diventati bianchi, era febbricitante,delirava…Io e sua madre nel sentire la porta sbattere ci alzammo e gli andammo subito incontro, lo portammo a letto, con quel poco fiato che gli era rimasto sussurrava frasi che non riuscivamo a capire.
Per una settimana durò la sua agonia, poi si spense… 
“a ghìva virà al sàng in àiva”
Il suo sangue era diventato acqua...Barbara Piana

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