Neppure è nato che già deve ascoltare i primi segnali di allarme. Il governo Renzi che, salvo sorprese, dovrebbe prendere forma in settimana, ha posto degli obiettivi di legislatura non indifferenti. Non tanto per i contenuti – che sono noti a tutti – quanto per la tempistica: una riforma al mese, a parte quelle istituzionali. Il mese di marzo verrebbe dedicato al lavoro, aprile alla Pubblica amministrazione e maggio al fisco. Un programma che a leggerlo così, sebbene non si conoscano al dettaglio i contenuti, appare ambizioso a dir poco. E l’eccessiva pressione fiscale è il principale motivo che ha spinto commercianti e artigiani a scendere in piazza nella giornata di martedì per chiedere, guarda caso, “meno burocrazia e meno tasse”. Il contesto, anche, è noto: in cinque anni la ricchezza prodotta dal paese è diminuita del 9%, la ricchezza pro-capite dell’11,1%, i consumi si sono ridotti all’essenziale (e talvolta nemmeno a quello), l’occupazione si è ridotta di oltre un milione di unità. Secondo le previsioni dell’Istat nel 2014 il Pil dovrebbe tornare al segno più (+0,7%), mentre i consumi delle famiglie aumenteranno solo dello 0,2%. Insomma, si chiede ad esempio Rete Imprese Italia, davvero si può parlare di ripresa? Le associazioni di categoria ricordano poi che “le micro, piccole e medie imprese in Italia presenti nei settori del commercio, del turismo, dei servizi di mercato e delle imprese del manifatturiero e delle costruzioni sono oltre quattro milioni, impiegano più di 14 milioni di addetti, di cui nove milioni sono lavoratori dipendenti”. E ancora: “È italiano il 18% di tutte le imprese europee ed oltre il 20% di quelle manifatturiere; il 10,2% di tutta l’occupazione europea è garantito dalle sole Pmi italiane; in Italia il 69% del fatturato è generato da imprese dimensione sotto i 250 addetti; il fatturato medio per azienda delle Pmi è il più alto d’Europa in ciascun segmento fino ai 249 addetti”. Però la situazione è drammatica, nonostante tutto. Nel 2013 le imprese che hanno chiuso i battenti sono state quasi 372 mila, cioè oltre mille al giorno (tre cessazioni su quattro hanno riguardato le imprese individuali). Per quanto riguarda la pressione fiscale, che ha toccato livelli record, Rete Imprese Italia sottolinea come quella “apparente” abbia raggiunto il 44,3% del Pil (e resterà sopra il 44% per molto tempo), mentre la pressione fiscale “legale” (su ogni euro di Pil dichiarato) si aggira intorno al 54%. Inoltre, l’incidenza della tassazione sui profitti raggiunge il 66%, 20 punti in più rispetto alla media europea, e il 70% delle Pmi è costretto a sostenere il fardello dell’Imu sugli immobili strumentali di impresa. Anche il peso della burocrazia dà più di un grattacapo ai piccoli imprenditori. I costi sono pari a 30 miliardi di euro, pure qualcosa oltre. In pratica due punti di Pil che pesa sulle singole imprese 7.091 euro l’anno. Se ne potrebbero abbattere almeno nove dei 30 miliardi. Basterebbe attuare i provvedimenti di semplificazione varati negli ultimi cinque anni.
(anche su T-Mag)
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