Potrebbe esserci qualcosa di “miserabilmente confortante” nei recenti attacchi terroristici rivendicati dallo Stato Islamico (SI). Hanno unito un fronte ampiamente disunito sulle sorti della Siria.
Dallo scorso ottobre Francia, Russia, Libano e Turchia hanno insieme perso 500 dei loro cittadini. Il 18 novembre lo SI rivendicato anche l’uccisione di un cittadino cinese e uno norvegese tenuti in ostaggio dal Califfato.
Se prima di Parigi esisteva una minima remora nello sconfiggere tutti uniti Daesh, lo Stato Islamico, essa sembra essere caduta con le vittime degli attentati di Parigi. Nei cinque anni di guerra civile siriana, il Pianeta ha potuto osservare senza successo diversi fronti e numerosi attori sul campo di battaglia.
Una cosa è certa, la complessità del teatro siriano ha costruito quella guerra per procura che ha portato a questo stallo e alla Libanizzazione della Siria.
LA GUERRA PER PROCURA COMBATTUTA IN SIRIA
PRIMA DELLO STATO ISLAMICO
Sulla Via per Damasco – I Tracciati Internazionali
Geopolitiqui Tube
Al congresso di Vienna sulla questione siriana del 13 novembre scorso (giorno dei funesti eventi) hanno partecipato 17 governi di altrettanti Stati. Il round di colloqui ha prodotto una road map per un cessate il fuoco, un periodo di transizione per poi giungere a elezioni, ma ha lasciato irrisolta la spinosa questione del destino di Assad. Al futuro della Siria, per la prima volta ha partecipato l’Iran, paese molto importante nello scacchiere Medio orientale.
Poche decisioni sono state prese tra cui quella di cominciare un processo di transizione a partire dal 1 gennaio. L’idea è che le Nazioni Unite dovranno negoziare e monitorare il cessate il fuoco mentre il regime siriano e le fragmentate opposizioni formeranno un governo di transizione. Le elezioni saranno poi tenute nel 2017. Il difficile processo di distinguere tra terroristi, che saranno esclusi dalla formazione del governo, e le legittime opposizioni che saranno incluse, sarà tenuto dalla Giordania. Prima degli attentati di Parigi, un compito quasi impossibile considerando le posizioni di Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna sulla sorte di Assad e delle opposizioni.
Dopo gli attentato terroristici, il primo incontro tra i capi Stato e di governo avviene nel G20 in Turchia e la situazione diplomatica sembra essersi ribaltata. Il pericolo geopolitico sull’ordine mondiale ha portato Vladimir Putin a immaginare un’alleanza come quella contro i nazisti condotta da Churchill, Stalin e Roosevelt. Nel novembre dello scorso anno lo stesso presidente russo è fuggito nel bel mezzo dei lavori a causa delle tensioni per la sorte dell’Ucraina. Un anno più tardi, il mondo sembra essere profondamente cambiato e l’Ucraina, il pericolo geopolitico numero uno del 2014, non viene più menzionata al G20 come se gli accordi di Minsk I e II fossero stati davvero un successo diplomatico, dell’Occidente e della Russia.
Gli interessi e le strategie sono cambiate. La vasta gamma di Infedeli designati da Califfo ha compattato il fronte della paura. Tutti sono possibili bersagli di Daesh.
Da qui parte la possibile nascita dell’Alleanza degli Infedeli per la Siria. Il primo a raccogliere l’invito è il provato presidente francese che ha chiarificato come priorità dell’Occidente il combattere lo Stato Islamico e lasciare la questione Assad al prossimo futuro.
Nel breve termine la tolleranza al potere del dittatore siriano è accettata anche dagli Stati Uniti e ai suoi alleati. Così al vertice del sud est asiatico, Obama annuncia la necessità di “trionfare con ogni mezzo” sul Daesh.
Un’affermazione molto criptica che lascia molte interpretazioni, ma è difficile credere che le forze siriane, curde e irachene possano avere la meglio sull’efficienza militare dello SI e riconquistare le città di Raqqa e Mosul solo con l’appoggio dei bombardamenti. Fornire apporto logistico e addestramenti sul campo agli eserciti locali potrebbe essere una via percorribile nel medio periodo, ma il tempo stringe. Lo Stato Islamico può contare su un introito derivante dalla vendita del petrolio di 50 milioni di dollari al mese. Settimane di ritardo costerebbero vite umane e costituirebbero occasioni di rafforzamento per l’esercito del Califfo.
L’opzione più percorribile sembrerebbe l’attacco via terra dell’Alleanza degli Infedeli. Nel 2001 la coalizione guidata dagli Stati Uniti impiegò un mese a estromettere i Talebani dal potere. Nel 2003, l’Iraq fu conquistato dopo 5 settimane. Lo Stato Islamico potrebbe essere annientato più o meno nello stesso tempo.
Attenzione però la conquista militare non significa vittoria. Afghanistan, Iraq e Libia insegnano? Il mondo non è pronto questa volta ad un ennesimo fallimento.