“Dite il mio nome, ditelo due volte e alla terza io arriverò!”
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Allegro, spensierato, spiritico, grottesco e coinvolgente; queste sono le parole che descrivono meglio il capolavoro cinematografico del maestro del cinema Tim Burton, anche se ultimamente si è un po’ perso nel suo percorso artistico, anche a causa del suo attaccamento all’attore Johnny Depp, che è presente in gran parte dei suoi ultimi film, che non sono assolutamente dei capolavori, come “Sweeney Todd” (2007), “Alice in Wonderland” (2010) e “Dark Shadows” (2012).
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Due giovani sposi muoiono in un incidente stradale, causato da un cane, e si ritrovano a vivere come fantasmi, imprigionati nella loro dimora con un libro di istruzioni sulla loro nuova vita da defunti.
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“Il cinema, secondo me, è una forma dispendiosa di psicoterapia. Mi piace l’assurdità del cinema. E’ straordinariamente divertente” cit- T. Burton.
Se ci fermiamo a pensare un attimo Burton ha perfettamente ragione, noi viviamo in una quotidianità molto complessa, molto brutale sotto certi aspetti, siamo immersi in un mondo in cui si dà poco spazio alla fantasia, all’irrazionalità ma tutto è puntato sulla ragione, il concreto. Ecco cosa è la realtà, ma il cinema ben venga che non sia reale!; l’individuo ha bisogno di staccarsi dal quotidiano, quindi ben vengano i film che distruggono totalmente il vero affidandosi al sogno, all’assurdità. In fondo il cinema è un arte, e l’arte non viene dalla razionalità, ma dal cuore, dalla parte più sensibile dell’autore.
Ogni film per essere un piccolo capolavoro ha bisogno di un mix di lavori, partendo dal regista, allo sceneggiatore, in questo caso Michael McDowell, e soprattutto di un buon compositore, che qui troviamo in Danny Elfman. La canzone simbolo di “Spiritello Porcello” è senza ombra di dubbio “ Banana Boat Song (Day O)” di Harry Belafonte.
Nel lungometraggio sono già visibili alcune tracce dello stile visionario burtiano, come i tagli dell’inquadratura che sono simili a quelli dei film espressionistici tedeschi del Gabinetto del Dottor Caligari (Wiene, 1920), in cui la scenografia è delirante, assurda, allucinante, così come è presente anche in alcune scene di Beetlejuice, in cui troviamo dei pavimenti storti a scacchi.
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Titolo originale: Beeetlejuice (Usa, 1988); lingua: inglese; durata 92 min.; genere commedia e fantastico; regia Burton; soggetto McDowell, Musiche Danny Elfman; scenografia Tom Duffield; con Alec Baldwin, Geena Davis, Michael Keaton, Winona Ryder, Jeffrey Jones, Catherine O’Hara, Glenn Shadix.
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Stefano Del Giudice