“L’allievo” è l’esempio lampante di quanto siano maledettamente importanti i social network, anobii in primis; con altissime probabilità se qualche attento lettore non mi avesse lanciato la pulce nell’orecchio non mi sarei mai avvicinato a quest’opera che, ne sono certo, avrebbe meritato una sorte ben diversa; incredibile infatti pensare che “L’allievo” (come pure i due successivi romanzi del bravissimo scrittore inglese Patrick Redmond) siano usciti prematuramente e ingiustificatamente fuori catalogo, confermando per l’ennesima volta quanto scarsamente professionale spesso sia il lavoro delle case editrici, in questo caso Mondadori già rea di scempi allucinanti in tal senso (uno su tutti il talentuoso Caleb Carr, autore dei romanzi da culto “L’alienista” e “L’angelo delle tenebre” distribuiti in maniera a dir poco scandalosa).
La vicenda narrata in “L’allievo” è ambientata in un prestigioso college inglese negli anni 50. Jonathan Palmer è uno studente che si è inserito malamente nell’Istituto e vive in maniera sofferta l’esperienza scolastica. Appartenente ad un ceto inferiore rispetto alla stragrande maggioranza degli alunni, è soggetto di continue vessazioni e cattiverie dagli altri compagni, fino a quando conosce Richard Rockeby, un ragazzo fortemente carismatico che lo prende sotto la sua ala protettiva; ma cosa si nasconde dietro le stranezze di Richard, quali oscuri segreti pervadono la sua anima?
“L’allievo” è un thriller psicologico di alta classe contraddistinto da un deliziosa impronta stilistica tipicamente inglese. Redmond è maestro nel narrare ciò che di oscuro pervade l’animo umano, dove sentimenti come l’odio e l’istinto di vendetta sono pesanti come lastre di marmo, dove ritmo serrato e tensione sono insostenibili fino alla sconvolgente sorpresa finale rivelatoria. Lavoro eccellente come in ogni buon thriller psicologico che si professi tale è riservato alla caratterizzazione dei personaggi che ne escono tratteggiati in maniera eccellente; probabilmente in “L’allievo” è descritto uno dei personaggi più inquietanti e crudeli che la mia mente di lettore ricordi.
Ogni tanto Thriller Café ama proporre qualche libro un po’ datato, ma di quelli che vale la pena leggere. L’allievo, di Patrick Redmond, rientra in questa casistica. Non è semplice da reperire, ma l’eventuale ricerca sarebbe ben ricompensata. Se volete un assaggio, il libro comincia così:
Lettera pubblicata dal “TIMES” – 17 ottobre 1957
The Old Rectory
Havering, KentSono da più di trent’anni un fedele lettore del suo giornale, di cui ho sempre ammirato l’equilibrata visione del mondo. In effetti, ho finito per considerarlo un vecchio amico, a tal punto che un giorno trascorso senza la sua garbata compagnia mi sembrava incompleto.
Per questo motivo, ho letto con allarmata incredulità, sul numero di lunedì scorso, l’articolo di Colin Hammond Prigionieri del privilegio.
Ancora oggi, dopo dieci giorni, non riesco a capire come lei possa aver pubblicato un articolo del genere. Chiaramente Mr. Hammond è uno di questi “giovani arrabbiati” di cui si legge oggigiorno; uno sciocco arrogante la cui sola possibilità di distinguersi sta nel denigrare tutte le istituzioni care al Paese. Come ha potuto offrirgli una ribalta da cui rendere pubbliche le sue sciagurate opinioni?
L’articolo di Mr. Hammond è uno dei più deteriori esempi di giornalismo in cui mi sia imbattuto. Dopo averlo letto, posso solo concludere che Mr. Hammond non sia sano di mente, oppure che il suo desiderio di notorietà sia così grande da spingerlo a dissacrare impunemente ogni cosa pur di affermarsi.
Come può sostenere che i terribili eventi occorsi a Kirkston Abbey siano da imputare la sistema dele public schools? Come ex allievo di tali scuole (Ferrers College, 1919-1924) devo protestare contro questo insulto recato a un’istituzione per la quale ho sempre nutrito il massimo rispetto. La mia scuola, come altre dello stesso tipo, era un posto decoroso e felice, non la prigione brutale e piena di paura che Mr. Hammond vorrebbe farle credere.
I ragazzi al centro di tutto il sordido affare di Kirkston Abbey non furono “corrotti dal sistema” né “vittime del loro ambiente”. Descriverli in questi termini è un errore gravissimo.
Nulla può giustificare l’incontestabile orrore di ciò che essi hanno fatto. Non esistono scuse per un simile comportamento. Nulla – né la giovane età, né la solitudine, né la separazione dalla famiglia – può redimerli nemmeno in parte. Ciò che hanno fatto non è l’opera di ragazzi fuorviati, ma di autentici mostri.
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